Quando si pensa a Veronica Pivetti, anche i giovanissimi hanno in mente la professoressa ficcanaso, Camilla Baudino, della fiction Rai “Provaci ancora Prof”. Incontrarla è un piacere per la determinazione mixata con la simpatia con cui si approccia. L’occasione è stata offerta dal Salento Finibus Terrae, diretto da Romeo Conte e svoltosi dal 22 al 29 luglio toccando diverse tappe di località pugliesi. A Castellana Grotte, la mattina con gli studenti e la sera col pubblico nella Caverna della Grave, l’artista ha presentato la sua opera prima dietro la macchina da presa, “Né Giulietta né Romeo”. Parla del film come se fosse una creatura vivente, sottolineando il registro volutamente usato e quanto non sia ancora semplice parlare di sessualità. Nel lungometraggio il sedicenne Rocco rivela, infatti, la sua omosessualità alla famiglia.
Chi segue Veronica Pivetti da tempo, sa quanto lei abbia spaziato nel corso della lunga carriera e in quest’intervista emergono alcune chicche tutte da scoprire.
Mi piacerebbe avere un feedback a caldo dopo questo lungo tour in cui ha portato in giro “Né Giuliettà né Romeo” e anche alla 14esima edizione del Salento Finibus Terrae hai incontrato diversi ragazzi…
Quello svoltosi qui è stato molto bello e, complessivamente, gli incontri con gli studenti sono estremamente proficui, interessanti e divertenti. Sono abbastanza certa che ciò si verifichi perché questo film parla di loro e li fa parlare perché hanno un bisogno estremo di parlare di questo argomento. Mi divertiva questo argomento, ma sentivo anche la necessità di trattare questo tema che troppo spesso è tabù, associato alle lacrime, al dramma e al dolore.
In questa prospettiva io sostengo tantissimo il dibattito e quando si rompe un po’ il ghiaccio si avverte proprio che c’è un’esigenza di raccontarsi. Ricordo ancora un incontro a Martina Franca in un cinema con cinquecento ragazzi, dove si creò una fila (idealmente parlando) per prendere la parola. Loro hanno bisogno di parlare di amore perché fondamentalmente “Né Giuliettà né Romeo” parla di sessualità declinata in vari modi e loro magari non riescono a trattare molto questo tema in famiglia o a scuola, la chiesa non ne parliamo. Secondo me, vedendo anche ciò che ho captato, le istituzioni sono molto carenti da questo punto di vista.
Ti è capitato che qualcuno ti dicesse di esser riuscito a fare outing dopo aver visto il film?
Per fare un esempio vi racconto questo. Il film è patrocinato da Amnesty International e ho fatto svariati incontri in collaborazione con loro e tra questi c’è stato uno in una scuola di frontiera a Milano. C’erano circa trecentocinquanta ragazzi e molti sono intervenuti, a un tratto stavamo chiudendo e una ragazza ha preteso di parlare perché voleva dire una cosa assolutamente e così ha raccontato di esser stata cresciuta da uno zio trans che per lei è stato padre e madre, definendola la persona più importante della sua vita. Questa è una dichiarazione molto importante perché tu sei in mezzo ai tuoi amici e non solo. In più, un conto è il momento emotivo in cui hai appena finito di vedere il lungometraggio e c’è anche una predisposizione all’ascolto differente, ma poi le giornate passano e può svelarsi un’arma a doppio taglio una rivelazione del genere. Lei non ha avuto nessuna preoccupazione a farlo.
In Puglia c’erano due ragazze che avevano una relazione e son voluti intervenire e una di loro due ha detto: “in questo cinema è pieno di professori che non hanno il coraggio di dire la verità e dire che loro sono i primi a discriminarci”. Sono frasi forti anche perché i docenti son quelli che mettono i voti e io ho pensato d’istinto ora li bocciano. Mi rendo conto che può apparire basso come pensiero, ma purtroppo poi è ciò che accade. La sua ragazza anche ha aggiunto: “so che molte persone ritengono l’omosessualità una malattia, se è così, io sono felice e orgogliosa di essere ammalata da quando sono nata”.
Per me è importantissimo che i ragazzi si aprano in questo modo perché non si può vivere sempre nascosti. Mi auguro che queste giovani generazioni possano avere più accoglienza e ci sia più libertà.
Hai registrato differenze tra gli incontri avuti al Nord e quelli a Sud del nostro Stivale?
Assolutamente no. C’è grande chiusura e apertura dappertutto, i pregiudizi in questo campo sono equamente distribuiti su tutta Italia, se posso dire solo una piccola cosa che ho notato è che i ragazzi del Sud mi sono sembrati estremamente combattivi, molto pronti a farsi rispettare e rivelarsi e mi fa molto piacere.
Se non sbaglio l’adolescenza è stato un periodo su cui hai riflettuto anche a posteriori…
L’adolescenza non passa mai, nel senso che ovviamente come età deve passare perché dobbiamo crescere e non essere più adolescenti nel modo in cui affrontiamo le cose, però ce la portiamo appresso. Tutto quello che mi ha ferito e colpito in quegli anni torna, è un periodo talmente determinante per tutti noi che ce lo portiamo in uno zaino sulle spalle finché non moriamo. È un momento di passaggio talmente cruciale che ancora inquina tanti miei momenti difficili, senso che ci sono dei retaggi belli forti e credo sia molto diffusa come sensazione. Aggiungiamoci anche che l’autrice vera del film, Giovanna Gra, la quale ha scritto la gran parte della sceneggiatura a cui io, poi, ho collaborato, è una grande amante degli adolescenti e scrive anche tanto per loro per cui si ha anche voglia di mettere sul piatto ciò che ci è successo.
I personaggi che raccontiamo in “Né Giulietta né Romeo” son tutti veri, poi naturalmente c’è la scrittura e il gusto della commedia. Questa non è una storia così originale e da un lato potrei dire ahimè, anzi dico per fortuna perché almeno è una vicenda che, in quanto commedia, finisce bene; ma quante storie, invece, non vanno a finire così e si concludono con suicidi di ragazzi adolescenti, i quali, non sentendosi accettati da nessuno, non riescono ad accettarsi e si tolgono la vita.
Rispetto ai tabù di cui accennavi, mi tornava in mente lo spettacolo “Mortaccia la vita è meravigliosa” che sdoganava quello della morte…
Sì il tabù per eccellenza. Siamo due persone che a sgomitate cercano di scardinare i tabù e sono contenta di questo. Mortaccia è stato un grande cuneo che si è infilato in grande tabù che è quello della morte. L’abbiamo portato in giro per tre anni con grande successo e le persone venivano a trovarci in camerino perché ridendo e scherzando avevano riflettuto. Io penso che la commedia sia in assoluto quello stile che ti permette di dire delle efferatezze, ma siccome poi ci ridi su, arrivano in un determinato modo.
Nello spettacolo si parlava di quanto l’essere umano potesse diventare così cattivo
È un aspetto in cui crediamo molto sia io che Giovanna.
Te lo sottolineavo anche alla luce di ciò che sta accadendo adesso…
Questo è un periodo veramente efferato però non ho tante parole per descrivere, certo mi associo a quelle usate da tutti come la mostruosità. La domanda che imperversa è: come difendersi? Io non lo so onestamente. Ciò che emerso anche dal dibattito con gli studenti al Salento Finibus Terrae è che bisogna continuare a fare e a credere nel proprio.
Cosa può fare un film contro gli attentati? Nulla, è chiaro che non è quello il sistema. Devi lottare, però, con tutto te stesso nei principi nei quali credi come l’uguaglianza e l’abbattimento dei pregiudizi. Continuiamo ciascuno a fare questo, ahimè il male esiste e continuerà ad esistere. Purtroppo siamo tutti a rischio, ma anche padroni della nostra vita finché ce lo permettono.
Riallacciandomi a queste tue parole, mi aveva colpita una tua dichiarazione in cui dicevi che non pensi tanto al passato e neanche al presente, ma hai una prospettiva verso il futuro…
Io ci credo moltissimo. Il passato tante volte è un fardello ormai c’è stato, le ferite che doveva lasciare esistono, però non sono una nostalgica. Il presente non c’è, è qualcosa di talmente aleatorio che già, ad esempio, ora che sto rispondendo a questa domanda è già passato e son curiosa di scoprire la prossima. Il futuro mi attira tantissimo e sono proiettata su di esso anche in maniera, forse, un po’ incosciente e infantile. So di essere una persona molto attaccata alla sua parte “piccola”, bambina. Per futuro intendo anche quello immediato. Ad esempio io non guido, non ho la patente e quindi vengo sempre portata in giro, quando qualcuno sbaglia strada mi piace moltissimo. A meno che non si abbia un appuntamento importante e quindi non c’è il tempo che pressa, mi incuriosisce scoprire dove porterà la strada che non sapevamo e presa per sbaglio. Per me il futuro è questo: una curiosità indomabile
Riesci ad avere questo atteggiamento nonostante questa sensazione di continua minaccia?
Sì, (con la sua solita e affabile auto-ironia) poi magari, se mi dovesse accadere qualcosa, qualcuno leggerà a posteriori quest’intervista e penserà “guarda quella poveraccia”, ma non posso starmi a preoccupare di questo. Vivere col freno a mano è impensabile e credo sia la cosa più improduttiva del mondo. Io non me ne intendo di marce non avendo la patente, ma sicuramente metto la marcia dove si corre.
Trasmetti un’energia propositiva…
È così altrimenti mi annoio a morte e io detesto annoiarmi. L’incontro e lo scontro sono interessanti, però la noia è una palude dal punto di vista morale e di pensiero. Stagnare non va mai bene.
Mi è apparso fuori dal coro anche un altro tuo pensiero riguardante la non paura di arrivare a cinquant’anni
Adesso ne ho cinquantuno, li ho superati brillantemente.
Sembra tu non abbia neanche quel timore che spesso attanaglia fisicamente le donne
Sto un fiore. Dal punto di vista estetico sono molto tranquilla. Posso spezzare una lancia a favore dell’invecchiamento che trovo una gran bella cosa perché, intanto, vuol dire che sei vivo e poi sì casca un po’ tutto, ma a tutti. Credo poco agli artifici per rialzare ciò che casca.
Il segreto è sempre una taglia in più così sembri magro, poi certo i capelli, ammetto li tingo, ma son proprio accorgimenti elementari.
C’è un episodio off che hai voglia di condividere coi nostri lettori?
Rispetto agli esordi, ho cominciato facendo doppiaggio, avevo sei anni e siccome non arrivavo per altezza neanche al leggio, mi mettevano su una cassapanca.
Se vogliamo parlare di qualcosa di davvero curioso accaduta diversi anni dopo, mi fa piacere rievocare quando ricevetti una telefonata. Erano gli anni di “Viaggi di nozze”, avevo un cellulare da cinque giorni di quei modelli enormi. Quando ho ricevuto questa telefonata ero anche stupita perché forse non squillava tanto allora, stavo entrando in metropolitana e dall’altro capo del telefono un signore mi dice: buongiorno sono Carlo Verdone da Roma, volevo sapere se è disposta a fare un provino per questo film che sto preparando”. Io non ci credevo e gli ho risposto: “chi è lo spiritoso che parla?”. Era davvero lui da Roma, mi ha mandato il copione, ho fatto il provino e mi ha dato la parte.
Dopo la telefonata, ho attaccato e ho pensato: “questo è uno strumento magico” perché non solo te lo porti dappertutto e già ci risultava strano quello, ma anche perché dall’altra parte mi aveva chiamata un famoso attore e regista come Carlo. Mi ricordo che sono entrata in metropolitana e non riuscivo a non sorridere per tutto il tempo per la contentezza.
Una delle tue qualità è anche la versatilità, compreso l’aver lavorato in radio
Ho fatto tante cose, amo questo mestiere e mi piace in tutte le sue sfaccettature per cui cerco di misurarmi con più cose possibili. È un mestiere da privilegiati, penso di aver avuto talmente tanta fortuna in questo mondo realizzando anche lavori amati dal pubblico.
Viste anche le tue riflessioni sull’attualità e pensando alla tua Fosca di “Viaggi di nozze” secondo te ci sono ancora delle donne così?
Purtroppo sì e non un po’, ma tante. Viviamo in un Paese non solo fortemente omofobo, ma anche maschilista e non so come faremo a uscire da questa mentalità, ci siamo in pieno. Se gli Anni ’70 ci hanno fatto credere che sarebbe cambiato qualcosa, siamo ripiombati in una misoginia e in un maschilismo spaventoso. Me ne rendo conto io che sono innegabilmente una donna “privilegiata”, che ha una notorietà con un bellissimo rapporto col pubblico, di grande stima reciproca, però mi accorgo di quanto una donna come me sia vissuta con fatica da uomini di un certo tipo che devono misurarsi con una figura femminile che non è succube. È molto preoccupante come la donna, anche in maniera miope, si sottometta ancora all’uomo, cadendo anche in certe trappole estetiche. Io rivendico la mia esteticità, poi qualcuno dirà “ma tu sei brutta”, a me non interessa (e lo dice sempre con umiltà e il sorriso sulle labbra, nda), il concetto di bellezza è talmente ampio e vasto per cui diventa relativo. Io credo sia centomila volte più importante il fascino della bellezza, insieme al carisma, queste sono le cose che fanno girare la testa.
Siamo troppo lontani dagli Anni ’50 per preoccuparci ancora di avere il vitino stretto, non bisognerebbe essere così schiavi di questo secondo me.
Hai in uscita il film di Marco Ponti (“Io che amo solo te – La cena di Natale”, nda), girato a Polignano a Mare e ora siamo, appunto, al Salento Finibus Terrae. Pensando al lavoro dell’Apulia Film Commission e a un certo risveglio culturale di questa regione, cosa ne pensi?
È stata fatta un’operazione di un’importanza epocale perché tantissimi film son stati spostati in Puglia, vengono girati in questa terra bellissima, che è stata improvvisamente valorizzata e resa nota. Ciò andrebbe fatto in diverse zone d’Italia. La Puglia non è stata denaturalizzata, anzi. Io l’avevo frequentata poco e l’occasione di portare lo spettacolo qui, poi il film di Ponti me l’ha fatta conoscere. È diventata così meta turistica, ma anche di lavoro.
Per quanto riguarda la questione produttiva, un progetto come “Né Giulietta né Romeo” era possibile solo auto-producendosi?
Dico la verità, con Giovanna, non avevamo intenzione di auto-produrci da sole con la nostra società, (Pigra S.r.l., nda) avevamo una co-produzione che a quattro giorni effettivi dall’inizio delle riprese è sparita. Il nostro auto-produrci è stato perciò obbligatorio se non volevamo perdere quattro anni di lavoro. Il film si è fermato per un mese, abbiamo trovato un produttore esecutivo e siamo partiti insieme al grande aiuto che ci ha dato una banca e ci siamo un po’ improvvisate produttrici anche se avevamo prodotto lo spettacolo teatrale, ma è diverso. L’aspetto positivo è stata la libertà totale, che certamente comporta anche delle responsabilità differenti.
Prossimamente, dal punto di vista produttivo e artistico vuoi scardinare altri tabù?
Quello sicuramente! Stiamo già lavorando almeno mentalmente sul secondo film, senza però abbandonare questo. Stiamo riflettendo anche su altri spettacoli da far nascere e abbiamo un occhio anche per il web. Bisogna non sedersi.
Da scritturata quali sono i lavori futuri?
Inizierò a girare la settima serie di “Provaci ancora Prof”.