Pd, come perdere le elezioni e perché

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Le elezioni locali di mezzo mandato sono un incubo per il Pd. In passato proprio un tracollo del voto locale sloggiò il premier di sinistra insediatosi a Palazzo Chigi senza mandato elettorale. Un anno fa il partito di Renzi perse Venezia e Arezzo nella crescita dell’astensione oltre il 50%. A pochi giorni dal nuovo voto comunale,  i postdemocratici probabilmente non arriveranno neanche ai ballottaggi di Roma e Napoli; e facilmente perderanno il rush finale di Milano.

Nel 2015 portò male il commissariamento di Venezia e la demonizzazione di Galan; quest’anno tocca al commissariamento di Roma ed alla demonizzazione di Alemanno. L’elettorato non si fidò della tesi mediatico giudiziaria, di corruttele soprattutto di destra e mai del Pd.  Ora ci crede sempre meno anche la macchina della giustizia.

Spiazzando tutti, da alcuni mesi l’edutainment politico dominante a Palazzo Chigi ha deciso di non prendere nemmeno in considerazione il 5 giugno in sé e cominciare direttamente la campagna sul referendum costituzionale atteso per ottobre. Ubbidiente, la macchina mediatica si è messa a smezzare le carte dei sindaci con quelle delle riforme del Senato.

L’idea che il Pd possa prendere più voti grazie alla riforma della ministra Boschi bypassa l’imminente risultato, assegnando gli eventuali meriti al vertice e addossando le responsabilità ai brutti, sporchi e cattivi candidati sindaci. Controindicazione, ulteriore indebolimento e svalutazione per i Giachetti, a Roma, le Valente a Napoli ed ahimè i Sala di Milano.

Solo il caso milanese, però, rappresenta una reale contraddizione di casa Renzi, dove la mappa italiana non considera il sud. A Napoli, per il premier, l’importante era bloccare il reuccio Bassolino ed avviare la fusion con i berlusconiani. A Roma, la la mordacchia per il partito, grazie ai meaculpa di Barca ed Orfini. Così il primo Comune d’Italia, già di diritto governato dal Pd per il voto di solo 3 anni fa, viene consegnato agli avversari, con il retropensiero di evitare l’assegno da 500 milioni l’anno, necessario alla copertura del debito pregresso di Roma.

Milano è invece un’altra cosa, data la leadership di sinistra piena dell’ex sindaco Pisapia. Perdere la capitale meneghina metterebbe il partito di governo completamente fuori dal Nordest. La costituzionalizzazione delle elezioni locali rischia di essere pagata cara e quindi si è dato di fondo e di brutto al portafoglio.

Anche a Milano,però  il partito renziano è a disagio, in una maggioranza di sinistra, non omogenea a quella nazionale di destrasinistra. Il candidato Sala, già collaboratore dei sindaci berlusconiani, è di per sè promessa di  conciliazione con una Forza Italia in caduta libera. Poi all’ultimo con il candidato romano Marchini e con quello milanese Parisi, Berlusconi si è  rafforzato per le trattative future.

I toscani di governo sanno già che, dopo il 5 giugno, dovranno attraversare mesi martellanti di campagna elettorale sotto il fuoco contrario delle principali città e regioni del Paese, capace di neutralizzare l’uso brutale di media e Rai.

Renzi non teme di essere cacciato per le elezioni di giugno, ma per quelle di ottobre Allora, la riforma costituzionale, senza Berlusconi, non potrà passare. Per il voto di ottobre si prepara a ottenere il sostegno dell’ex Cavaliere.

L’edutainment politico di Palazzo Chigi è già al lavoro sulle promesse capaci di ricucire lo strappo del 2013 e di riposizionare in comune di 180° la futura Forza Democratica (o Partito Italia).

L’invito è, che la Forza sia con noi, ad ottobre.  A giugno si può perdere.

 

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