”L’altalena” è un racconto nerissimo per IlgiornaleOFF di Alex Rebatto, già coautore con Antonella D’Agostino della biografia di Francis Turatello. Milanese, mastica il linguaggio della mala anni Settanta ed ha appena pubblicato per Algama, in ebook, “2084”, un noir ambientato nel futuro in cui c’è chi cerca ancora qualcosa in cui credere: una bandiera, un diritto, un ideale. Anche se la domanda di fondo è: ci sono ancora, oggi, ideali in cui credere? E quanto costano?
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http://www.algama.it/2016/04/
L’ALTALENA
(Di Alex Rebatto)
“Più in alto, mamma. Più in alto!”
“Stai già volando, piccola mia. Vuoi andare più in alto di così?”
“Voglio toccare il cielo!”
“Vuoi toccare il cielo? Sei sicura di volerlo fare?”
“Più che sicura.”
“Che punto preciso del cielo vuoi toccare, tesoro?”
“Una stella. Vorrei proprio toccare una stella, mamma.”
“Allora non ci resta che aspettare. Vuoi davvero aspettare le stelle?”
“Si, mamma. Aspettiamo.”
L’avvocato Invernizzi, un’autorità nel suo settore, si fermò a poca distanza tenendo stretto al guinzaglio il vecchio Pongo, un ammasso di pelo informe di ormai tredici anni. Piegò la testa di lato e si accese una sigaretta in silenzio. Intanto il cane cercava senza riuscirci di defecare tra le radici di un albero. Il tramonto aveva già passato le consegne e la sera stava per avvolgere insensibile il parco e i suoi ultimi visitatori. Una coppia di ragazzi in calzoncini corti sfrecciarono accanto all’avvocato in un ansimante sprint. Poi l’ultimo rumore che sopravvisse fu quello delle catene dell’altalena che cigolavano sotto la spinta della madre.
Quattro ore prima.
Laura scese dalla cyclette e si diresse verso la cucina. Prese dal frigorifero una bottiglia d’acqua e la svuotò a canna fino all’ultima goccia. Aveva le gambe doloranti e si sentiva sconfitta. Due mesi di dieta e un’infinità di ore di moto le avevano fatto perdere solo mezzo chilo. Mezzo schifosissimo chilo…
Ne aveva abbastanza di quel grosso culo che si trascinava dietro come un pacco postale da troppo tempo. Aveva bisogno di ritrovare la sua forma. Di sentirsi guardata. Aveva solo trentadue anni e fino ai ventisette, lo ricordava bene, gli uomini si erano voltati ammaliati al suo passaggio. I più valorosi le avevano offerto persino un fischio di approvazione. Poi c’era stata la gravidanza e la nascita di Beatrice, bionda e dal viso perfetto come una bambola di porcellana. La gente ora la fermava solo per farle i complimenti per quella creatura così straordinaria.
“Ma è bellissima! Come si chiama?”
“Ha degli occhi incredibili…”
“Sembra un angelo.”
E più Beatrice riceveva complimenti più lei sembrava perdere la sua forza. Ora la piccola era nel suo lettino, abbracciata al pelouche di quello stupido cartone animato, che sorrideva serena e presuntuosa. Laura si sedette al tavolo della cucina e si massaggiò le cosce. Erano grosse come prosciutti. Smagliate come carta velina da buttare. Sexy come un piatto di lasagne della domenica.
“Lasagne…”
Si leccò le labbra provando a ricordarne il profumo. Da quant’è che non faceva un pasto come si deve? Strinse i pugni, rabbiosa.
Vittorio invece era lì, perfetto nella sua giacca, con quel fisico scolpito da anni di palestra. Mai un chilo di troppo. Mai un eccesso di alcun tipo. Mai una sigaretta. Mai un bicchiere in più. Un uomo così perfetto da rendere imperfetto chiunque gli fosse accanto. Laura aprì di nuovo il frigorifero e seguì con lo sguardo la sfilza di yogurt magri, di petti di pollo e di frutti perfettamente sigillati.
“Mamma” sentì strillare dalla stanza accanto “Mamma!”
Chiuse il frigorifero e si sedette di nuovo afferrandosi la testa tra le mani.
“Mamma! Mamma!”
Una fitta dolorosa come la punta di un trapano che le si conficcava fino al cervello.
“Mamma! Vieni qui. Corri!”
Si alzò facendosi forza sulle gambe doloranti e andò nella stanza di Beatrice. La trovò seduta sul lettino che si teneva strette le ginocchia tremanti.
“Ho fatto un brutto sogno”, singhiozzò.
Laura le si sedette accanto e le sfiorò quei bei capelli biondi con delicatezza.
“Stai tranquilla” le disse “Ora sono qui con te.”
Tre ore prima.
Vittorio tornò a casa prima del previsto. Sembrava nervoso. Appoggiò la sua ventiquattrore di pelle accanto alla porta e si levò le scarpe lucide lasciandole perfettamente appaiate davanti all’ingresso della camera da letto.
“Ciao Laura”, disse fissando la moglie sdraiata sul letto, intenta a leggere un romanzetto d’amore.
“Sei già qui!”, fece lei entusiasta lasciando cadere il libro sul lenzuolo.
“Non ti aspettavo così presto. Possiamo andare tutti e tre assieme…”
Lui la interruppe con un gesto della mano.
“Aspetta”, disse serio, “Sono arrivato prima perché ho bisogno di parlarti di una cosa importante.”
Laura sentì il cuore accelerare e un brivido percorrerle la schiena. Erano mesi che aspettava quel momento. Lo sapeva che prima o poi sarebbe arrivato, da quando aveva trovato quei messaggi sul cellulare.
“Vittorio”, provò a dire.
Il marito scosse il capo rassegnato.
“Mi dispiace”, disse semplicemente.
Due ore prima.
Lo guardò in silenzio mentre riempiva una valigia con un paio di vestiti e il necessaire da bagno. La stessa valigia che aveva riempito sette anni prima, per il loro viaggio di nozze in Thailandia. Anche il rasoio era lo stesso… Si passò il dorso di una mano sugli occhi gonfi e restò a subire in silenzio quel supplizio.
“E la bambina?”, provò a domandare.
Vittorio si fermò per un istante, con il caricabatteria del cellulare in mano.
“Non dovrà subire l’ipocrisia di una coppia di genitori che non si sopporta più”, concluse infilando l’oggetto accanto alla giacca di tweed prima di richiudere la valigia con un’ultima controllata di sicurezza.
“E’ finita?”, fece Laura ancora incredula.
“E’ finita davvero?”
Lui sospirò e le si sedette accanto. Le prese una mano fingendo un affetto che ormai sapeva solo di teatralità e annuì.
“Farò venire qualcuno a prendere il resto delle mie cose”, disse. “Per la questione economica non devi preoccuparti.”
“Non me ne sono mai preoccupata”, commentò in un sussurro Laura.
“E’ per quel motivo che ti ho sposata”, sorrise patetico l’uomo prima di alzarsi.
Andò fino alla stanza della figlia, la guardò per qualche secondo addormentata sul lettino ed infine, terminata la recita con una carezza paterna, levò le tende con un ultimo:
“Mi mancherete.”
Laura non si mosse dal letto. Restò spettatrice inconsapevole del disfacimento della propria vita. Aprì il cassetto del comodino con una mano tremante e trovò il suo pacchetto di sigarette aperto sei mesi prima e mai consumato. S’infilò una Camel tra le labbra e diede fuoco alla miccia restando a fissare la porta aperta della camera da letto. Aspirò profondamente e la testa fu colpita da una nuova dolorosa scarica.Si strinse la nuca fino a far sbiancare le nocche e quando la fitta sembrò essere passata si accorse di aver stretto tra le labbra solo un misero mozzicone giallo e smunto. Come la sua vita.
Un’ora prima
“Quando torna papà?”
“Papà starà via qualche giorno per lavoro.”
“Non è vero. Papà non è mai stato via per lavoro. Stai mentendo!”
Laura lasciò che la mano della figlia si sfilasse dalla sua e la guardò correre nell’erba, con quella sua gonnellina bianca svolazzante e quel corpo così giovane e perfetto.
“Voglio il mio papà!”, urlò Beatrice gettandosi a terra in lacrime.
“Voglio il mio papà! Voglio il mio papà!”, ripeté alzando di volta in volta il volume.
“Papà tornerà presto, tesoro”, provò a tranquillizzarla Laura avvicinandosi a lei, “Te lo prometto.”
“Non è vero!”, la piccola si allontanò con uno strattone.
Il dolore alla testa. Quel maledetto trapano prese a spingere. Più a fondo. Sempre più a fondo.
“Bea, ascoltami ti prego.”
“Ti ho detto di no!”, urlò lei prendendo le distanze.
Le sue lacrime trasparivano rabbia rovente.
“Voglio stare con lui!”
“Non è possibile, tesoro. Davvero…”
“Tu sei cattiva!”
“Io non…”
“Tu sei una brutta cicciona cattiva!”
“Bea…”
“Non mi toccare! Lasciami stare!”
Il trapano s’insinuava implacabile nella testa. Poi, d’un tratto, tutto fu silenzio. Silenzio e pace.
“Ecco una stella, mamma. Spingimi forte. La tocco!”
“Così, tesoro?”
“Di più, mamma. Di più. Ci sono quasi.”
“Si, Bea. Ci sei quasi. Allunga la mano.”
“Ci sono, mamma! La sto per toccare!”
L’avvocato Invernizzi ci pensò un istante ancora e poi decise. Diede uno strattone al vecchio Pongo e andò verso l’altalena. Nel buio sentiva sussurrare la donna.
“Prendi la stella, Beatrice. Afferrala!”
Lei nemmeno si accorse della sua presenza. Non si accorse nemmeno quando le passò accanto e si mise di fonte all’altalena che saettava nell’oscurità. Persino il vecchio Pongo smise di uggiolare. L’avvocato guardò la bambina con la testa così innaturalmente piegata di lato e chiuse gli occhi. Sentì il soffio dell’altalena che gli sferzava il viso e la voce della donna che spingeva.
“Mamma, non smettere ti prego. Mi sto divertendo da morire…”
Si sedette sulla panchina lì accanto e si convinse a distogliere lo sguardo mentre prendeva di tasca il cellulare. Il vecchio Pongo, intanto, era corso sotto un albero e stava ululando alla luna con l’ultimo soffio di vita concessogli dall’età. La donna prese a canticchiare una ninnananna con una voce sottile. Con voce innocente.