Ubaldo Oppi, l’allievo di Klimt che esaltò il Realismo Magico

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Studio x figlia di jefte 1925, 41x66,25 olio su cartone

Forse il maggior esponente del Realismo Magico, Ubaldo Oppi, bolognese, nato nel 1889, resta uno dei più fulgidi esempi della tradizione pittorica italiana che, ancora nel primo Novecento, affonda le sue gloriose radici nell’arte sublime del XV secolo dimostrando così come soltanto l’antico sia perennemente attuale.

Allievo di Klimt a Vienna, il giovane Ubaldo viaggia in lungo e in largo per l’Europa formandosi soprattutto a Parigi, al Louvre, sull’arte italiana del Quattrocento che genererà così una serie di suoi dipinti d’influenza botticelliana, dove uomini e donne danzano liberamente nudi tra gli alberi, nel loro rapporto misterico con la Natura. Il riferimento simbolico, metafisico ed ermetico della pittura di Oppi è, oltre a Sandro Botticelli, alla meticolosa costruzione formale di Piero della Francesca e in seguito ad alcuni tratti da Rosso Fiorentino, sempre riportati alla realtà sua contemporanea in un ambiente sospeso e silente, colmo di mistero e attesa. Le sue opere sono quasi stilizzate, colte in un momento rarefatto, immerse in una luce fredda e trasparente che esalta i corpi e i volti, con una lontana eco d’Alma Tadema raggelata nell’istante dipinto. Così hanno un sottile velo di malinconia le sue modelle e amanti, nei loro sguardi enigmatici e surreali come di coloro che vedano altri orizzonti oltre questo mondo materiale nel quale sono confinate, ricordo delle tavole del Pollaiolo e di Antonello da Messina.

Prigioniero durante la Grande guerra, Oppi continua a ritrarre nei suoi acquerelli, il volto dell’umana fragilità e miseria anche nel campo dove è rinchiuso, ma al suo ritorno in patria muta oltre alla sua vita, anche la sua poetica.

Studio x figlia di jefte 1925, 41x66,25 olio su cartone
Studio per figlia di iefte 1925, 41×66,25 olio su cartone

I nuovi dipinti – apprezzati dal pubblico – sono segnati da un’immagine aristocratica ed elegante, desideroso come egli è di reinstaurare quei valori tradizionali e intellettuali che poi avranno una salda matrice nel cattolicesimo ritrovato. I suoi schemi sono sempre quelli raffinati, colti e altissimi dell’arte quattrocentesca con ritratti e volti ambientati su sfondi precisi quanto sfumati nell’azzurra lontananza. Nel 1924 Oppi ha una sala soltanto sua alla Biennale di Venezia dove espone per tutti, non più soltanto per le élite, con le sue belle figure umane dominanti i paesaggi e inserite in stanze accuratamente prospettiche, creando così opere che si rivelano essere più durature della stessa sfuggente realtà che manifestano. La sua fama artistica così aumenta, rendendolo ospite di tutte le future manifestazioni a livello internazionale, incrementando l’interesse dei critici anche d’oltreoceano e dello stesso Mussolini.

Il pittore continua a scegliere, come sfondo dei suoi quadri, sale vuote ma decorate dai volumi di ampi drappeggi sui quali figure di donne si stagliano in una sensualità dolce e classicamente algida, al tempo stesso sempre immerse in un’atmosfera incantata e sognante. L’essere umano per Oppi, pittore a cavallo tra la metafisica del Rinascimento e quella novecentesca, è così nuovamente posto al centro dell’Universo come nella miglior tradizione medicea, ma nel 1932, ritiratosi a vivere in cercata solitudine a Vicenza, una sorta di “crisi mistica” già in atto da qualche anno, spinge Ubaldo verso la riscoperta della pittura religiosa del nostro Medioevo segnando così non soltanto il suo ritorno definitivo alla Fede, ma anche quello della sua arte allo spirito più antico dell’Età di Mezzo. Ultimo a riprendere la grande tradizione della tecnica superba e italiana dell’affresco secondo gli stili dei grandi maestri di scuola giottesca, Oppi si staglia gigante anche nel campo dell’Arte Sacra d’Occidente, restando ancorato alla Tradizione e riuscendo a rinnovarla con colori che il tempo renderà più luminosi invece di spegnerli lentamente.

I quadri e gli affreschi di Ubaldo Oppi sono dunque null’altro che una mai spezzata linea verso la classicità ed il simbolo, anche religioso, sempre circonfusa da una dolce e serena malinconia che non è mai lacrime e pianto ma speranza in qualcosa d’Altro e di Superiore.

Richiamato durante l’ultima guerra, Oppi si spegne nel 1942 con il grado di tenente colonnello degli Alpini, con i conforti religiosi e con lui si ha forse l’ultimo esempio di un genere d’artista che unisce il nostro passato più antico a quello più recente, in un omaggio alla Bellezza che non ha mai fine.