A tu per tu con Alessandro Papetti

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“Fare le cose vecchie in modo nuovo – questa è innovazione”. Così l’economista Joseph Schumpeter sintetizzò quel processo di trasformazione chiamato “distruzione creativa“: sostituire i vecchi modi di produrre (e di pensare) con dei nuovi. Può richiedere mesi o anni, rivoluzioni o riforme graduali, ma il risultato non cambia: nuovi animal spirits nascono dal travaglio -economico, artistico, esistenziale. Nel caso del nuovo ciclo pittorico di Alessandro Papetti, di cui abbiamo avuto un assaggio lo scorso mese di novembre a Roma a Palazzo Poli e che vedremo in tutto il suo splendore il prossimo 28 aprile a Londra per la sua personale nella (nuova) galleria Circa, la distruzione creatrice gli ha preso cinque mesi. Cinque mesi dopo i quali Alessandro Papetti ha oltrepassato un confine, per poter vedere cosa ci fosse là fuori. Ne parliamo con lui, nel suo splendido studio milanese ricavato da un’ex fabbrica in cui una volta si lavorava il ferro, fra enormi tele di gesto e d’istinto, libri, manoscritti antichi e disegni di frenologia, “scatole sceniche” e molto altro…

Caro Alessandro, cosa vedremo a Londra?

Alessandro Papetti, Io abito qui, 2015, tecnica mista su carta intelata_cm.205x203
Alessandro Papetti, Io abito qui, 2015, tecnica mista su carta intelata_cm.205×203

Innanzitutto si inaugura una nuova galleria, quella del mio gallerista di Johannesburg, Mark Read, con cui ormai lavoro da quasi vent’anni. A Johannesburg si trova la sede storica del suo spazio espositivo, che ha più di 100 anni (cui si affianca una seconda sede), più uno a Città del Capo. Mark è stato talmente colpito dalla mia mostra a Palazzo Poli a Roma dello scorso novembre (venne apposta da Johannesburg per poterla vedere!), dove erano esposti i due lavori che vedi adesso più quaranta carte, che ha deciso di inaugurare la sua nuova galleria londinese con una selezione di questa mia ultima produzione. Bene, questo nuovo ciclo di opere rappresenta un’indagine sul linguaggio della pittura, “astraendo” in un certo senso dal figurativo ma conservando la figurazione. E’ una ricerca di carattere temporale, sulla memoria, e rappresenta l’esito di quella che chiamerei una distruzione creatrice, un periodo di cinque mesi durante i quali mi sono voluto mettere in gioco –o in difficoltà, se preferisci, durante il quale  ho attinto alla mia memoria e fatto ricerca. E’ stato un periodo molto fecondo, contrassegnato dalla distruzione dei quadri su cui progressivamente stavo lavorando. Mi sono messo con le spalle al muro e ho individuare un nuovo ostacolo, un nuovo compito da affrontare, dopo i cicli che conosci bene -quelli del vento, dell’acqua, dell’archeologia industriale e dei cantieri navali e delle visioni d’interni. Diciamo che il problema non era tanto il soggetto in sé, quanto il modo in cui rendere questo soggetto. Ho fatto ricerca e si è trattato di un vero e proprio atto di volontà: cioè, metetrmi in difficoltà. Ho ripreso uno dei miei cicli, cioè la visione d’interno , e l’ho affidato a un supporto molto particolare, la carta: la ragione di questa scelta sta nel fatto che, mentre l’olio su tela ti dà il senso di una-cosa-fatta-e-finita, la fragilità della carta ti porta, come dire?, a tutta una serie di possibilità aperte.  Mi chiedi cosa vedremo a Londra…beh, il mio gallerista ha scelto alcune delle quaranta carte esposte a Palazzo Poli, ma francamente non so nemmeno io cosa vedrò, lo scopriremo giovedì!

Bene, chi vivrà vedrà. Vorrei tonare su questa idea di “ostacolo”, di “limite”, in merito alla ricerca di cui ci hai parlato

Alessandro Papetti, Nudo disteso, 2015, olio su carta, cm 197x125 jpg
Alessandro Papetti, Nudo disteso, 2015, olio su carta, cm 197×125 jpg

Allora, più che di “limite” parlerei di confine. Il fatto di sapere che c’è un confine da oltrepassare è assolutamente positivo, mentre l’idea di “limite” secondo me ha una connotazione negativa:  è come dire “al di là di questo non so andare, non posso farlo, non ne sono capace”. Invece la consapevolezza di un confine, geografico e simbolico, da oltrepassare per vedere “cosa c’è di là”, utilizzando altri strumenti rispetto a quelli che ormai ci sono familiari e ci sembrano rassicuranti, ha una valenza estremamente positiva. Chiaro, questo vuol dire mettersi in una condizione di difficoltà e darsi da fare per superare l’ostacolo, perché stai affrontando una cosa nuova lavorando su te stesso come pittore: il che significa, di conseguenza, che devi mettere in conto l’errore e accettarlo. Da qui la “distruzione creatrice” di cui parlavamo prima. Solo in questo modo puoi aggiungere un gradino alla scala che ti permette di arrivare più in alto rispetto a dov’eri prima. Capisci?, la consapevolezza dell’errore, il sapere che c’è, rappresenta una grandissima possibilità: se faccio una ricerca (su me stesso e sulla pittura, il che è la stessa cosa, perché anche quando non dipingo la mia testa è sulla pittura), questo comporta che debba percorrere una strada un po’ diversa dal solito, usando magari altri strumenti da quelli  familiari. Mi viene in mente una frase che dissi agli studenti di Brera tempo fa: «Cercate di dipingere quello che non conoscete usando il pennello sbagliato!». Ecco, mi sembra che riassuma perfettamente quello che voglio dire.

E dunque per queste carte hai usato “il pennello sbagliato”?

Assolutamente sì! Ho usato apposta elementi sbagliati, cose incompatibili fra loro. Non volevo fare come ho sempre fatto! Ho oltrepassato quel famoso confine: dopo questa serie, ci sarà qualcos’altro di diverso ma con elementi riconoscibili. In fin del conto, se tu guardi questo mio lavoro di tempo fa (Alessandro mi indica un enorme tela appartenente al ciclo del vento, n.d.r.), vedi che già conteneva qualcosa che poi ho trasposto in questa nuova serie delle carte. Poi ci sarà un altro confine da oltrepassare e i miei prossimi lavori, chissà, conterranno qualcosa di nuovo, che però è stato anticipato adesso.  Vedremo.

Alessandro Papetti, Luogo in divenire, cm 205x350
Alessandro Papetti, Luogo in divenire, cm 205×350

Due parole sul titolo della tua mostra londinese: perché “Io abito qui”?

Semplice e secco: in questo momento della mia vita io sono qui, in questo “luogo” della pittura. Io abito nella mia pittura.

Cos’è per Alessandro Papetti una crisi?

La crisi è funzionale a un cambiamento ed è un fenomeno ciclico. Chiaro, quando non trovi l’esito della tua ricerca ne soffri, ma la crisi è positiva: è un travaglio, ma è anche un momento di crescita. Distruggi per creare.

Cosa sarebbe stato Alessandro Papetti se si fosse chiamato Alexander Littlepopes? Cioè, se fosse nato e vissuto a N.Y. e non a “Milangeles“?

Non posso saperlo. Ci sono tante di quelle variabili che non saprei proprio dirtelo. Troppi punti di domanda….In compenso so che in questo paese è tutto più difficile: all’estero le cose funzionano meglio e probabilmente avrei avuto qualche facilità in più. Ad ogni modo, l’unica cosa veramente importante per me è fare una mostra che mi dia soddisfazione, in Italia o fuori.

Caro Alessandro, qui spariamo sulla Croce Rossa: due parole sui tuoi non pochi imitatori e imitatrici…

…che chiamerei plagiatori. Intendiamoci, c’è una fase della tua vita in cui puoi ispirarti a qualcuno, ma la cosa non può restare lì, deve evolvere. A quindici anni io magari ho fatto un dipinto “alla maniera di”, ma poi l’ho distrutto. Vedo invece in giro troppe copie dei miei quadri e la cosa, francamente, inizia a infastidirmi.  Se fai un quadro che è la copia del quadro di un altro, beh non lo devi proporre, punto. Io non lo farei mai. Va bene l’ispirazione, ma non puoi fare una copia di un mio quadro e spacciarlo come se fosse tuo: è plagio. E devo dire che il numero di questi plagiatori sta crescendo: pensa che ne ho trovato uno che, non contento, ha “copiato” addirittura alcune mie frasi da un’intervista!

Chissà se il suddetto gatto copione attingerà anche a questa fonte…(n.d.r.)