Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. In cerca di nuove prospettive

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Banat (Il viaggio) era stato l’italiano scelto per la trentesima Settimana Internazionale della Critica, sezione indipendente della 72esima Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia. Durante il Bif&st 2016 abbiamo avuto occasione di incontrare il regista Adriano Valerio, i due co-protagonisti, Elena Radonicich ed Edoardo Gabbrielini e, infine, uno dei produttori di Movimento Film, Mario Mazzarotto.

La pellicola non rientra nei canoni di un’opera che potrebbe essere definita commerciale e non c’è neanche la pretesa di esserlo, ma ha un suo fascino e degli aspetti interessanti. Dopo diversi corti tra cui il pluripremiato “37°4s” (2013), Valerio ha deciso di esordire nel lungometraggio dando vita a un’opera che affascina sul piano stilistico, dimostrando padronanza del mezzo, ed è conscia del duplice impatto che potrebbe avere sullo spettatore.

Siamo a Bari, Ivo e Clara si conoscono per una serie di coincidenze tra cui l’appartamento della signora Nitti (Piera Degli Esposti), lui lo sta lasciando, lei sarà la nuova inquilina. L’uomo è un quarantenne agronomo che fa i conti con la difficoltà di realizzarsi professionalmente parlando ed ha appena accettato un’offerta in Romania. Più volte sentiamo «parto. Non parto». C’è qualcosa o qualcuno che lo trattiene. Anche lei, dal canto suo, si ritroverà ad affrontare la perdita del lavoro, oltre ad avere alle spalle la fine di una difficile storia d’amore.

Adriano Valerio
Adriano Valerio

I due attori hanno lavorato molto in sottrazione ed è stata proprio una direzione registica. «Nel cinema che mi piace c’è spesso questo tipo di lavoro, credo anche che si acquisisca con la maturità per cui non ho la presunzione di essere riuscito completamente a veicolare tutto ciò che volevo nel mio primo film. Ho il terrore della retorica e, in generale, sia in scrittura che poi lavorando con loro   ci siamo indirizzati verso un continuo togliere», ci ha raccontato Valerio. Ci è apparso un regista molto appassionato di cinema, che lo ama e lo frequenta in primis come spettatore e studioso conscio anche della sensazione di “freddezza” che potrebbe arrivare alla platea di turno. «Se avessimo potuto chiamare questo film con un altro titolo che, però, era nobilmente occupato, sarebbe stato “La giusta distanza”. La storia sarebbe stata perfettamente calzante, racchiudendo al contempo in quest’espressione diversi interrogativi: qual è la giusta distanza dal luogo in cui sono nati? E tra di loro? In più mentre giravamo si è cercata una giustezza nelle diverse situazioni sia da parte degli attori che nel lavoro fotografico. L’idea era quella di lavorare sullo stare molto vicini ai loro corpi e poi, dall’altro lato isolarli nel paesaggio, un dialogo tra una dimensione di prossimità e di distanza. L’obiettivo era quello di riuscire a narrare questo loro senso di spaesamento, il freddo che sentivano alternandolo con dei momenti di intensità come quelli amorosi o la scena in cui Clara canta Rosanna Fratello». Per Gabbrielini e la Radonicich la sfida è vinta. «Ho avuto la netta sensazione che l’idea che aveva di questa storia Valerio facesse per me, mi piaceva come affrontasse lo spaesamento e l’incontro di queste due solitudini. Lavorando d’istinto mi son fatto guidare» (Gabbrielini).

Elena Radonicich
Elena Radonicich

Anche l’attrice piemontese ha lavorato d’istinto e sin dall’incontro col regista si è trovata in sintonia per i sentimenti che vengono toccati e il modo in cui questo accade. Non ci hanno nascosto come avvertisse «molto affine questo riconoscersi più nel dove si va, nelle persone che si trovano, nella tendenza a cercare, come se spostarsi geograficamente equivale a cambiare punto di vista. C’è un movimento della coscienza che ti obbliga a mutare prospettiva e inevitabilmente ti apre». Da queste emerge molto lo spirito di Banat e la fascinazione di Valerio verso la tematica del viaggio e, appunto, dello spaesamento. Qui accade qualcosa che non ci si aspetterebbe sulla carta. Solitamente nel nostro immaginario è dai paesi dell’Est che si viene nel nostro Paese, in Banat i personaggi invertono quest’ottica, recandosi, tra l’altro in una terra scissa anche politicamente parlando. «Questo mette ancora più in evidenza come Ivo non stava bene dov’era. Si tratta di un’opera che racconta di due persone coraggiose: un quarantenne che mette tutta la sua vita su una vecchia macchina e attraversa i Balcani e l’Adriatico andando incontro a qualcosa di sconosciuto. A lui si aggiunge una donna che a sua volta si mette in gioco. Si mostra, in tal senso, una forma di disperazione, magari non gridata, ma che fa riflettere sulla condizione sociale ed esistenziale». Il lungometraggio è stato girato tra  Romania, Bulgaria, Macedonia, Grecia, Puglia.

Banat è un film coraggioso anche produttivamente parlando e Mazzarotto ha sottolineato come i co-produttori esteri abbiano sostenuto il progetto. «Sarà distribuito in sala dal 7 aprile, ma accompagnandolo anche con incontri col regista e dal 28 aprile sarà disponibile su internet (Mymovies e Repubblica.it) unendo così il cinephile e al contempo la rete in modo tale da far arrivare a più spettatori possibili questo tipo di cinema».