Al Teatro di Genova, nella Storia, si è alzato almeno tre volte il sipario sull’Ivanov di Cechov. Era per Ivo Chiesa, lo storico impresario anima diquel teatro, una bella scommessa: Genova puntava sul valore d’insieme nel “fare teatro”.
Allora, le scene e i costumi erano di Pierluigi Pizzi, la regia affidata al giovane Mario Ferrero, gli interpreti Enrico Maria Salerno, Gastone Moschin.
Un’altra peculiarità infatti del teatro genovese era l’attenzione e la cura per la distribuzione, anche il più piccolo ruolo non doveva e non poteva essere lasciato al caso. Ivanov, l’opera giovanile di Cechov forse non del tutto portata a termine, ma che rivelava un passaggio epocale anche nella carriera e nello stile dello scrittore, che affinava la sua penna passando dal vaudeville dei suoi atti unici, alla maturità di contenuti delle commedie più riconosciute.
La società (ottocentesca) ha perso la sua spinta vitale e il proprietario terriero Ivanov affonda in uno spleen rabbioso, una noia nevrastenica, si prosciuga le forze in una anaffettività colpevole, crudele e masochista. È comunque un personaggio dalla schiva semplicità. Negli anni Cinquanta/Sessanta si contendevano il primato cecoviano due registi-mostri sacri intoccabili: Visconti e Strehler; ma Ivo Chiesa si battè per l’affermarsi di nuovi attori. Genova, voglio dire, si è sempre inserita nella contesa di proporre qualcosa di nuovo, di diverso, forse più al passo coi tempi, degno di attenzione.
Cos’è che colpisce nell’allestimento di Filippo Dini? L’atmosfera di libertà degli attori, la condivisione del palco e dei camerini senza rancori, livori o egocentrismi. In scena e fuori si respira il concertato, la squadra. La qualità del lavoro la si percepisce già dalla scena iniziale: uno scherzo sadico, un gioco al massacro: una pistola puntata per inedia, cattiveria, invidia, che prima o poi dovrà sparare. Tutto è plausibile, credibile, naturale, vero, senza “cecovismi”. L’unica licenza di cliché con il passato Dini se la concede nella scenografia: un albero rinsecchito in proscenio(la natura). C’era all’epoca di Ivo Chiesa una voglia di affermare il ruolo di una generazione che aveva conquistato consapevolezza e chiedeva spazio. Oggi è la generazione di splendidi quarantenni che hanno talento e che devono uscire imponendosi al grande pubblico.