Giancarlo Sepe ci fa sudare freddo…

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foto di Pino Tufillaro
foto di Pino Tufillaro
foto di Pino Tufillaro

Citando l’enciclopedia medica: “Il sudore freddo si manifesta spesso, anche con altri sintomi, che variano in base alla patologia in corso. Sintomi tipici del sudore freddo sono: dolori e malessere generale, ansia o stress, brividi, vertigini, nausea, vomito, debolezza, pallore. La presenza di gravi sintomi potrebbe indicare una situazione di pericolo per la vita. In altri casi la sudorazione fredda può verificarsi insieme ad altri segnali, che possono portare ad una grave condizione per il soggetto colpito”.

“Una sorta di interminabile attacco di cuore”: così è stato definito “I diabolici,” che – unanimemente considerato un classico della letteratura noir – non ha perso un grammo del suo torbido fascino “à suspense” dotato di “un intrigo perfetto” e di “una tensione che fino all’ultimo non ti dà un attimo di tregua”. La progressiva perdita, da parte del protagonista, della percezione della realtà, il suo sprofondare sempre più allucinato in una vertigine di angoscia e di terrore in cui i deliri si accavallano ai ricordi d’infanzia e a un lacerante senso di impotenza. Nei “Diabolici” compaiono per la prima volta alcuni dei marchi di fabbrica della sterminata produzione di Boileau e Narcejac: lo schema triangolare, l’ambientazione provinciale e piccoloborghese, il motivo del colpevole tormentato dal rimorso e dalla paura, la contiguità fra innocenza e colpa; e soprattutto l’inversione dei ruoli: in un’autentica spirale di orrore, l’assassino si trasforma in una vittima braccata da “colei che non c’è più” – la donna che sa di aver ucciso. Sudori freddi è il titolo che i francesi hanno dato a Vertigo, noi lo conosciamo come La donna che visse due volte di Alfred Hitchock ed è anche il titolo di una splendida copertina di fumetti di Corben.

Giancarlo Sepe aggiunge un altro tassello alla sua ricerca espressiva di omaggio alla settima arte: musica, movimenti, danza, scenari. Il teatro è stato per troppo tempo sottomesso alla letteratura e Sepe con la sua sensibilità concepisce l’altrove, l’altro tempo; s’impadronisce della visione e nel suo teatro (La Comunità) può disporre liberamente della luce, della musica, dello spazio. Lo spettatore perde il suo posto, inviolabile e rassicurante e si sente spostato quando entra in azione la macchina del fumo, moltiplicato nella bella scena di specchi di Carlo De Marino, vivificato dal corpo elastico di questi giovani attori che si agitano sotto le note martellanti di Jacques Brel e dai siparietti di un ottimo e compassato Pino Tufillaro.