La sorpresa, ad Atreju 2015, l’annuale kermesse dei giovani di destra, è l’uomo, anzi la donna, che morde il cane.
Il momento clou doveva essere, dopo l’intervista di Porro a Berlusconi, quella di Del Debbio alla leader dei Fratelli d’Italia Meloni. Invece è stata la bionda Giorgia ad intonare un coro da stadio per il conduttore di Quinta Colonna. Paolo, Paolo, Paolo sindaco di Milano. Ad incalzare il giornalista, toscano e Mediaset come Toti, a scendere in politica. Ad offrirgli la candidatura a sindaco di Roma, proprio lei che l’anno scorso si era proposta a sindaco capitolino, senza però ottenere un cenno di risposta né al centro né a destra.
L’agonia destra odierna sta nella confusione che colpisce i più, ignari del significato dello stesso titolo Atreju. Quando nacque, nel ’98, governava un Prodi timoroso del voto. Rutelli era a metà dei suoi due mandati da sindaco di Roma. Giorgia, diploma turistico e militante da adolescente a Garbatella, da leader della giovanile di Alleanza Nazionale, nata 4 anni prima, festeggiava l’elezione in Provincia di Roma nella prima vittoria significativa della destra nel Lazio.
La piccola bionda si inventò una festa tutta romana per i ragazzi del Fronte della Gioventù e del Fuan, orfani dell’Msi come il senzafamiglia Atreju, il figlio di tutti protagonista della neverending story di Erde. Nuovi miti per giovani che improvvisamente dovevano buttare alle ortiche le nostalgie di una vita.
Dalla cassa di risonanza di Atreju, Giorgia bruciò le tappe, capo dei giovani, deputata più giovane,vicepresidente della Camera più giovane. Era la risposta di Fini al trend giovanilfemminile impostato da Berlusconi.
Nel decennio magico del centrodestra al potere Atreju divenne evento nazionale da 5 giornate all’ombra del Colosseo, organizzato dal giovane ministro della Repubblica Meloni che per il decennale del suo evento, aveva portato a casa un dicastero per i giovani. Tutti a leggere Erde, anche il grande capo milanese che in camicia nera di fronte ai giovani destri in un memorabile incontro non lasciò dubbi su chi fosse il leader più fascista (in senso buono).
L’anno dopo il ministro Meloni è leader di Giovane Italia, i giovani del neonato Pdl, grande partitone di destra. Negli anni del crollo, Atreju continua soffrendo la diaspora postmissina, tra personalismi e impianto per le vittorie sprecate alla Provincia, al Comune ed alla Regione a Roma. Giorgia è la prima a spaccare il Pdl uscendone alla ricerca di una nuova leadership, magari femmina e bionda come lei o La Pen, capo del Fronte francese.
Intreccia intese con conservatori e liberali come Crosetto, Fitto, Tosi. L’ex dominus delle finanze dei governi di destra Tremonti, inviso a tutta la sua parte, segue le iniziative della giovane romana. La Meloni, un tempo piccola e giovane peste romanaccia, si mostra in poster ritocccati con cascate di boccoli tra Marylin e la Biagini. Si ritrova stretta nel nocciolo duro romano dei fratelli ed altri famigli di un nuovo Msi senza sbocco.
Il tempo passa e le pretese primarie non arrivano mai. Il leghista Salvini le sottrae la Le Pen e Casa Pound. Fitto e Tosi vanno sotto nei rispettivi partiti perdendo le primarie che contano, le elezioni. 18 anni dopo Atreju, si svolge per 3 giorni al Foro Italico in uno stretto capannone di ex fabbrica dove amministratori, interni ed amici svolgono, più che una kermesse, un congresso.
L’inviso sindaco Marino che aveva definito Giorgia la destra con cui voglio dialogare, la rivuole nelle fogne e non concede la storica area dietro il Colosseo. Ancora memore della presa in giro del 2013 quando gli fecero premiare un falso atleta olimpionico.
A 37 anni la Giorgia che chiede famiglie numerose agli italiani, senza avere nè marito, nè figli, avrebbe bisogno di un palcoscenico, di un programma, di un partito più grandi, oltre il 4% che ha, che non è né poco né tanto. Avrebbe bisogno di un background, lei che abiurò, come Fini (non come Storace) al fascismo che fu, senza potersi scrollare di dosso il nero non per caso. Avrebbe bisogno di una chance di governo reale per confrontarsi con le tecnologie, il digitale, le filiere dell’eccellenza italiana nel mondo.
Il suo mondo di appartenenza, vecchio, la tiene ferma alla agricoltura nostrana (che impiega l’1% del lavoro) o al turismo come ristorazione di qualità di massa. La sua voce roca da Masaniella non è forte abbastanza da superare Grillo e Salvini nella gara antieuro. L’accusa torna alle primarie ed alla classe dirigente che Berlusconi non ha preparato. Eppure il pensiero corre subito al vincente Toti. A naso, si capisce che l’erede di Martino e di Pecorella saranno Porro e Giordano. L’occhio vede il pacioso Del Debbio capace di far rendere in politica la Tv del dolore.
Ad Atreju sfila il futuro centrodestra di non- fascisti, milanesi e dintorni, aziendalisti, dei giornalisti Mediaset, ideali per i fascisti romani di partito che li applaudono a scena aperta. Forse Giorgia, per rimettersi in pari, potrebbe pensare per un giro a trasformare Atreju in un programma culturale Tv.