La Carmen inedita di Martone

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Carmen_Forte_fotoMarioSpadaCon ogni probabilità sia Mario Martone regista che Enzo Moscato autore non hanno di certo pensato al celebre film muto in cui Francesca Bertini interpre tava da par suo l’ Assunta Spina di Salvatore di Giacomo. Tanto è vero che il nucleo di questa Carmen inedita e a suo modo esaltante sembra invece rifarsi, pur con diversi accenti e modus recitativi imposti da un passato ridondante, alla drammaturgia di D’Annunzio.

Vero è che nel film muto di Serena l’eroina viene sfregiata per vendetta dall’uomo che ama. Cosa che in modo, assolutamente divergente, avviene anche nello spettacolo, quando don Josè, meglio indicato come Cosè, in un impeto di gelosia acceca Carmen, la fedifraga. Ed è qui che entra in ballo la bellissima drammaturgia di Moscato,  in un omaggio solenne e quasi catartico se non addirittura religioso al suo più celebre capolavoro Piece Noire. Perché anche qui Iaia Forte (in divisa nazisteggiante che tanto ci ricorda Portiere di notte della Cavani) viene a suo modo mutilata della sua prepotente bellezza e poi accecata. Così finisce per improvvisarsi mezzana di un bordello assecondando, sia pure da lontano, la ben nota Madame Irma del Balcone di Genet. Ma mentre nello script del francese il bordello diventava simbolo della segregazione di un mondo ridotto a puro afflato carnale, qui intorno non c’è alcun edificio ma addirittura è Napoli che risplende tout court. Come se tutto cambiasse e nulla rimanesse, come in un racconto di Anna Maria Ortese, identico al suo pensiero in un guazzabuglio di impressionante evidenza palmare.

Con i clienti che al tempo stesso sono dei pazzarielli e dei Pulcinella mentre le sigaraie sono delle ragazze di vita che usano il tabacco come se fosse la sola droga disponibile. Anche il melange musicale tra le note di Bizet e una techno afro-interetnica è semplicemente strepitoso. In un tremendo Helzapoppin di stupefacente lirica grandezza, non esente da litri ed ettolitri di compianto su una città-società che del piacere, corroborato dal sogno e dal delitto, ha fatto la propria unica ragione di vita. E che, come si vede, sovente si sposa all’immagine della morte. Recitato da una impressionante Iaia Forte, finalmente tornata al suo vero humus, tra il farsesco e il delirante, che è quello che più le si addice. Tra tremori di fanciulla perduta e improvvisi soprassalti carnali di sorprendente sensualità che suscitano a buon diritto l’entusiasmo del pubblico. In una regia visionaria e ispirata di Martone, d’impressionante gaiezza che sembra anticipare nuove inedite forme al servizio di Carmen-Napoli, l’unica maschera che ancora ci è rimasta.