Innanzitutto il metodo. E’ bene premettere che è cosa lodevole pubblicare le Quaestiones de virtutibus I e V di San Tommaso (Le virtù, a cura di M.S. Vaccarezza, Bompiani, pp. 546, 25 euro), piuttosto trascurate. L’aquinate le scrisse nella piena maturità mentre lavorava alla seconda parte della sua opera più importante, la Summa Theologica. Si tratta dell’esposizione delle virtù cardinali – prudenza, giustizia, fortezza e temperanza – e di un’introduzione organica all’etica di un teologo che è un fondamento del cristianesimo e del pensiero occidentale. Quindi di un libro per filosofi. Gente che voglia capire come riprendendo le virtù di Platone, Aristotele e i pensatori cristiani a lui precedenti, San Tommaso abbia eretto un’etica monumentale tuttora centrale nel cattolicesimo.
Il metodo invece riguarda tutti. Autentico genere letterario medievale, era una base del corso universitario di tempi probabilmente a torto definiti “bui”, che ne dimostra il valore assoluto come metodo di studio. La quaestio disputata, al cuore della scolastica, consisteva nel porsi dei problemi sulle idee e discuterli esercitando la logica.
Con questo sistema si tramandava un mestiere, in questo caso intellettuale. Si trattava di un esame critico in forma di dialogo, in cui si prendevano in considerazione le opinioni degli studenti sulla base del tema esposto dal maestro. Si creava spesso una controversia poi risolta con la dialettica: lo studente da depositario di un sapere ricevuto diventava così un “protagonista della ricerca della verità”. Esporre, discutere lasciando spazio alle altrui interpretazioni, cercare insieme la verità: nulla di più liberale insomma. Una grande lezione di civiltà a uso e consumo dei contemporanei direttamente dal triennio 1269-1272.