Sei a favore della sperimentazione? Devi morire!

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Caterina Simonsen

caterina-ragazza-minacce-facebook-sperimentazione-animale-3“Per me puoi pure morire domani. Non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso per un’egoista come te”. “Meglio dieci topolini vivi e tu morta”. E l’immancabile: “Ai tempi di Hitler questa sarebbe stata abbandonata a se stessa. Oggi, invece, si coltivano malati e deboli umani”. Questi sono pochi esempi di insulti e minacce giunte nel dicembre 2013 a una giovane donna padovana.
No, non si tratta della Pupetta Maresca della Pianura Padana. Il bersaglio di queste parole spietate è Caterina Simonsen, 26enne italo-brasiliana che vive tra Padova e Bologna, dove studia veterinaria, e sorride alla vita dietro una pep mask, maschera a pressione espiratoria positiva.
Nome difficile da pronunciare, oggetto ancor più difficile da accettare come compagno di una vita che si scandisce a ritmo di ricoveri ospedalieri ricorrenti, e cocktail a base di vitamine, antibiotici, antidolorifici, integratori, eparina.

Ed ecco la causa scatenante della pioggia di insulti. “Io, Caterina S., ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la vera ricerca sarei morta a 9 anni”. Con questa dichiarazione scritta su un cartellone e pubblicata su Facebook, circa un anno e mezzo fa, la storia di Caterina Simonsen è divenuta un caso nazionale.
Con respiratore e occhioni sfavillanti, la giovane padovana, nonostante studiasse veterinaria e fosse vegetariana, sulla sua pagina Facebook si dichiarava favorevole alla sperimentazione sugli animali, infervorando l’animo degli animalisti fondamentalisti, da lei ribattezzati “nazianimalisti”.
Alle ingiurie e intimidazioni Caterina ha replicato ponderatamente: attivandosi per la ricerca sulle malattie rare, per il riconoscimento dei diritti umani dei malati, attraverso la promozione della campagna #IoConoscoLeMR.
Nessun piagnisteo o autocommiserazione. Con la sua autobiografia Respiro dopo respiro (Piemme pp. 238, 12,90 euro) Caterina ha deciso di raccontare semplicemente una vita vissuta “breath by breath”, come è scritto nel tatuaggio sulla caviglia sinistra, che ogni giorno le rammenta la diagnosi di una malattia incurabile, e la induce a godersi ogni istante della sua esistenza.

respiro dopo respiro
Caterina Simonsen, Respiro dopo respiro, Piemme, 2014

Solo a 18 anni, quando avrebbe dovuto assaporare il profumo della libertà, per Caterina arrivò la sentenza: deficit di Alfa 1 Antitripsina, una patologia genetica rarissima legata al cromosoma 14, di cui entrambi i suoi genitori erano inconsapevolmente portatori sani. Ma ciò non bastò a tormentare la vita di una ragazza che si affacciava alla vita. Ben presto sopraggiunsero anche l’immunodeficienza primaria, il deficit di proteina C e proteina S, la neuropatia dei nervi frenici, l’insufficienza ventilatoria dovuta a prolattinoma, un tumore ipofisario, e a reflusso gastroesofageo.
La sofferenza e la paura, però, non hanno mai frenato Caterina che, tra studi universitari, amici, fidanzato e animali, vive la sua vita appieno, nonostante la consapevolezza di non poter guarire mai.
“Aria, mi manca l’aria. Respiro male, a fatica. Non trattengo l’ossigeno, che rimbalza fuori dai polmoni non appena ci entra. Mi fa male il petto, come se un peso da cento chili lo premesse. Il cuore batte forte, duecento battiti al minuto. Sembra che esploda, che non ci sia spazio nel torace. Ogni volta che ispiro, tossisco e, ogni volta che tossisco, ho il terrore che il polmone destro, la cui superficie ha la consistenza della carta velina, si laceri. Calma, Cate, mi ripeto, stai tranquilla. L’istinto dice accelera, la testa rallenta. Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Inspiro, un colpo di tosse”. Con questo prologo, Caterina introduce il lettore nel suo mondo in apnea, infondendo il coraggio di non vergognarsi della sofferenza, svelando con naturalezza le difficoltà della malattia, l’essenzialità della ricerca, e perché no della sperimentazione, ancora di salvezza per una malattia senza guarigione. Ma soprattutto donando un inno alla vita in cui si annaspa, ma poi ci si aggrappa a gioie e piccole conquiste, fieri di aver rubato un altro respiro. E c’è chi le scrive che la sua vita non vale quella di un pesce rosso. 

5 Commenti

  1. Sostengo Caterina. La vita umana va tutelata e sostenuta anche con la sperimentazione sugli animali.

  2. sono a favore della sperimentazione. ma perchè non utilizzare l’uomo? ad esemprio gli ergastolani. Almeno sono utili alla società!!

    • Per tutta una serie di motivi. Il primo è etico, esiste una carta fondamentale dei diritti dell’uomo che vale per tutti gli uomini, non sono quelli che ci piacciono o ci stanno bene ed è questa che divide la civiltà dalla barbarie. Se non la condividi complimenti, l’Isis cerca persone esattamente come te, potresti avere un interessante carriera tra le loro fila.
      Il secondo è essenzialmente pratico. La popolazione carceraria (o negri, o ebrei, o meridionali, scegli pure la categoria che ti piace meno o che odi di più) non è in numero così alto da essere disponibile per una sperimentazione di primo livello, in secondo luogo l’essere umano ha un ciclo vitale troppo lungo per poter portare a termine una sperimentazione di primo livello in tempi ragionevoli, mi spiego meglio. Se io voglio valutare gli effetti di un farmaco sul fegato o sui reni a lungo termine userò un topo che ha un ciclo vitale molto breve (circa tre anni), tempo dopo il quale potrò avere dei risultati. Se utilizzassi delle persone dovrei aspettare almeno sessanta o settant’anni per avere dei risultati, un tempo oggettivamente irragionevole. Nel caso in cui la sperimentazione andasse a buon fine e ottenessi così degli indicatori di massima passerei a una seconda fase di sperimentazione umana. In questo caso i principali fattori di rischio sarebbero stati eliminati e quindi potrei utilizzare persone che avrebbero realmente bisogno di quella cura confrontando i risultati con quelli dei farmaci di vecchia generazione ad esempio tramite un doppio cieco ma le metodologie potrebbero essere molte.

  3. Ci sono persone che avrebbero tutto il diritto di vivere,e altre che a causa del loro fanatismo insensato non lo meriterebbero affatto.Nutrono profondo odio nei confronti del genere umano,ritenendolo il “cancro del pianeta”dimenticando di esserne loro i primi portatori.

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