La principessa che distrugge l’Islam oscurantista

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Hend Al Qassemi
Sheikha Hend Al Qassemi

Per la prima volta nella storia dell’Islam una donna racconta la sua battaglia contro la condizione di “sottomissione” che ultimamente ha fatto scalpore anche nel romanzo di Michel Houellebecq, e immagina un mondo non lontano in cui sarà la donna a sottomettere l’uomo.
Sheikha Hend Al Qassemi, pittrice, collezionista e stilista, principessa di casa reale, moglie di sua eccellenza Sheikh Abdullah Saud Al Thani del Qatar, ha appena annunciato l’uscita ufficiale del suo libro “Black book of Arabia”, prevista per questa estate 2015, per la casa editrice Bloomsbury Qatar Foundation Publishing, partner mediorientale dell’omonima casa editrice londinese resa celebre anche dal reccente successo mondiale di “Harry Potter” della scrittrice J.K. Rowling.
Già solo il titolo del libro sta suscitando interesse e scandalo in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti che saranno i primi a poterlo leggere. Tra romanzo e memoir, la scrittrice espone le sue idee del tutto contrarie alle imposizioni maschili che rendono schiave le donne islamiche sia psicologicamente che fisicamente. Una vicenda dalla trama “rosa” che si tinge lentamente di nero, in cui finalmente sarà la donna a prevalere sull’uomo.

A rendere così incisivo il messaggio di questo libro è soprattutto il diritto di emancipazione femminile che ancora per molti paesi come l’ Afghanistan, l’Iran, l’Iraq, l’Arabia Saudita e tanti altri paesi, è un tabù. Libertà di scelta e di pensiero non fanno parte della cultura islamica integralista, la quale impone alla donne una vera e propria prigione di tessuto. Coperte dal capo ai piedi, molte donne sono costrette a guardare il mondo dietro fitte sbarre di velo nero, permettendone a malapena la visuale.

28450_445151420574_693960574_6540111_6753305_nL’autrice Sheikha Hend Al Qassemi, è una forte combattente dei diritti delle donne, pronta a sfoderare tutte le sue armi in possesso per cambiare la situazione sociale islamica. Cultura e tenacia fanno di lei una donna poliedrica, laureata in matematica e in architettura, grande appassionata d’arte contemporanea e collezionista, pittrice, restauratrice e persino stilista dell’omonima collezione “Hend”. In ogni suo lavoro si può leggere la sua indole provocatoria e combattiva a favore della libertà delle donne sotto tutti gli aspetti.
Un esempio lo è la sua collezione, il cui debutto si è tenuto proprio a Roma in occasione delle sfilate di Alta Moda. Abiti molto lunghi e neri con trasparenze arroganti, hanno sfilato con nonchalance accompagnati dal velo. Impreziosito o meno, qualsiasi tipo di velo, torna a ribadire la stilista, deve rimanere soltanto un mero accessorio di moda da sfoggiare con disinvoltura in segno della propria femminilità e non di schiavitù. Quello di Sheikha Hend Al Qassemi è un viaggio e una battaglia tra modernità e passato, tradizione e trasgressione, mirato a comunicare e diffondere un messaggio di indipendenza dalle imposizioni maschili nei confronti delle donne del suo paese
Twitter @Carmen_etcCruz

2 Commenti

  1. Il velo islamico ha radici profonde, ma senza scomodare una religione (a volte utilizzata per uso e consumo personale) forse sarebbe bene anche fare un passo indietro nel nostro passato e ricordarsi che molte donne, sopratutto nell’alta borghesia e non solo, utilizzavano delle piccole velette in pizzo che coprivano buona parte del viso. Tale costume, adattato dalla moda negli anni, spesso veniva usato sopratutto per mitigare le malelingue dei maschi e le frecciatine delle acide considerazioni femminili. Negli anni 50/60 la veletta sul viso assunse poi una funzione “civettante”, tale che molti film di allora la usavano come mezzo sensuale per stimolare la curiosità del pubblico.

  2. Non credo che alcuni dei vestiti che potrebbero finire il suo tempo tra le quattro stagioni, può distruggere una religione esistente con la sua forte presenza, perché frequenti polemiche in qualsiasi cosa é la prova della sua forza in realtà, “i vestiti non fanno il musulmano e l’abito non fa il monaco” (quando l’abito fa il monaco anche i vestiti distruggono il mussulmano!).
    La religione è essenziale e la moda è secondario, perché la religione si rivolge lo spirito e la moda chiama il corpo, il corpo finisci sotto terra ma l’anima sali da dio.
    Per questo, a seconda della mente, concludiamo che il vestito non può influenzare la religione di oltre un miliardo, seicento musulmano

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