Il mio primo mese a Berlino. Sono ferma alla stazione della metro di Kottbusser Tor e una signora anziana vagamente strana mi si avvicina, mi fa un complimento per il mio cappotto rosso, mi chiede da dove vengo, dall’ Italia, rispondo io, la signora si incupisce e inizia a sbottare frasi incomprensibili per il mio tedesco base. Ne deduco: a Berlino noi italiani non piaciamo, o almeno, non piaciamo più, e siamo tanti, tantissimi, sempre di più. Noi italiani a Berlino soffriamo quindi di un amore almeno parzialmente non corrisposto per questa città, che allo stesso tempo ci respinge e ci seduce.
Fare un punto della situazione sulla fuga degli artisti, ricercatori e intellettuali– giovani e meno – italiani a Berlino non è semplice. Perché Berlino è una città dura che sta cambiando in fretta, perché è attiva e straripante di eventi ma è anche piena di solitudine, perché è una città che per troppo tempo è stata venduta superficialmente come paradiso per i creativi sfruttati in patria.
Oggi, nella capitale tedesca, secondo i dati dell’Ufficio statistico di Berlino – Brandeburgo, risiedono 22.000 italiani. Queste comunque, sono le cifre ufficiali, che riguardano soltanto gli italiani con Anmeldung, la registrazione obbligatoria del domicilio. Ufficiosamente però si parla di 50.000 connazionali: laureati, ricercatori, professionisti e artisti che si sono trasferiti nella capitale alla ricerca di un sistema culturale più stimolante e di un sistema sociale che premi meritocrazia, intraprendenza e voglia di fare.
C’è da dire che se negli anni scorsi era relativamente facile sviluppare progetti artistici in autonomia grazie anche ai costi bassi della vita, ad oggi la situazione è cambiata . Se infatti fino a 8 anni fa, nel quartiere di Neukolln era possibile affittare un appartamento di 50 metri quadrati per 370 euro al mese, oggi con 370 euro a malapena ti paghi una camera. Secondo l’ agenzia immobiliare immowelt.de, nell’ultimo anno i costi degli affitti delle case a Berlino sono aumentati del 14 per cento. Si prospetta quindi una scrematura obbligata delle realtà più “underground”, che per poter sostenere le spese sono quindi ora obbligate a generare veri profitti. Questo contesto non rende certo le cose facili per gli artisti. Soprattutto per gli emigrati. Si può credere all’ illusione della città facile, ma poi si finirà di sicuro a lamentarsi per quel beverone che è il caffè tedesco nel solito baretto fricchettone di Kreuzberg, lasciando galleggiare i propri sogni nel grigio “cielo sopra Berlino”, sentendosi solo degli It-alieni.
La maggior parte degli artisti che vive a Berlino non ci lavora, la capitale è stata scelta per motivi personali –ci racconta Elena Bari, ufficio stampa dell’associazione no profit Peninsula, che si è trasferita a Berlino da Milano – per respirare quell’ internazionalità e apertura mentale che in Italia è difficile trovare anche nelle grandi città, per il pluralismo culturale e il fervore di realtà culturali, musicali e artistiche sperimentali. Il progetto che ha inaugurato lo scorso settembre con una grande mostra presso l’ A Space di Berlino, presenta ad oggi una serie di talk dove gli artisti italiani che ne fanno parte hanno modo di confrontarsi e discutere il loro lavoro con il pubblico multiculturale berlinese. Per i membri di Peninsula, dove troviamo Loris Cecchini e Eleonora Farina alla presidenza e vice presidenza, Berlino rappresenta infatti il contesto ideale per ricreare un “terzo spazio” : una città ricca di scambi sociali e culturali, dove coesistono diverse nazionalità e identità.
Non sembra paradossale voler respirare internazionalità e creare connessioni con altre culture partendo dalla creazione di un associazione di artisti italiani?
Ha ancora senso e come ci si può definire artisti italiani ad oggi, in un momento storico in cui l’ idea stessa di nazione è messa in crisi, ma nonostante la globalizzazione, sopravvive? Qual è la motivazione dietro a questa migrazione? Perché si lascia l’ Italia e quando si sceglie di tornarci, perché? Che cosa manca all’ Italia e alle istituzioni italiane per permettere un rientro di questi cervelli?
Queste sono alcune delle domande che affronteremo settimana per settimana e che speriamo ci portino a capire le dinamiche necessarie per sollevare il nostro paese da questo stato culturale comatoso, per promuovere e valorizzare le eccellenze, per tornare ad essere consapevoli e fieri della nostra contemporaneità.