Oggi c’è il sole. Decine di squadre di operai, rigorosamente bresciani o bergamaschi, sono al lavoro all’Expo. Ma se nevicasse, tutto verrebbe rallentato. In questi giorni di fine gennaio e poca luce i padiglioni, alle otto di mattina, sono ancora siluette di fantasmi nella nebbia. Altro che capisaldi dell’architettura e del design. Sembrano capannoni di periferia, disegnati da solerti geometri. D’altronde il luogo scelto, tra Mazzo di Rho e Pero, è un tratto desolato di quella Milano post moderna che non ha neppure il pregio letterario dei casermoni raccontati da Testori negli anni Sessanta.
Giuseppe Sala sarà il vero unico vincitore
Benvenuti all’Expo2015. Un circo barnum da 10 miliardi di euro, una scommessa che nessuno ancora sa come andrà a finire. Il più veritiero degli aforismi dice che le vittorie hanno molti padri, le sconfitte sono orfane. Qui è il viceversa: se la manifestazione si rivelasse un successo, solo il taciturno commissario unico Giuseppe Sala potrebbe vantarsi della paternità.
Gli altri, dopo i peperepepè dell’inizio, hanno infatti creduto poco nella sfida: poco il sindaco Giuliano Pisapia, poco il governo nei suoi ultimi rappresentanti (Monti, Letta, Renzi), qualcosina in più la Regione con Roberto Maroni. Certo, nessuno ammetterà di aver remato contro, ma sono lontani i fasti di quando nel 2009 Letizia Moratti conquistò la nomination. Tutti hanno contributo obtorto collo, girandosi dall’altra parte mentre mettevano mano al portafogli con prudenza, distillando gli spazi, i permessi, e i fondi, costringendo Sala a interminabili attese e questue. E sopra a tutto ha imperversato il carattere nazionale, campanilistico e menefreghista (il padiglione delle Regioni, per fare un esempio, è a livello terra e i rispettivi governi non hanno ancora deciso cosa metterci), e poi la burocrazia imperante e l’ignavia della politica, e quindi il fatalismo e l’accidia “tanto abbiamo sei anni di tempo…”, il pericolo di infiltrazioni malavitose negli appalti, il malaffare, gli scandali, infine perfino gli arresti
110 ettari da completare
Per questi motivi si sono accumulati ritardi e molti progetti sono finiti in cavalleria. L’immaginifico concept plan iniziale di Stefano Boeri, una sorta di paradiso di orti e giardini e canali, è stato via via stravolto in nome della ragion di Stato e commerciale. Non ci saranno le vie d’acqua che avrebbero dovuto allacciare il sito con Milano, di queste ore la notizia che non sarà pronto il cosiddetto collegamento Zara, il padiglione arte prudentemente è stato spostato in Triennale. A meno di 100 giorni dall’apertura, non è ben chiaro neppure se verrà completato il sito espositivo che in questo istante è un cantiere aperto di 110 ettari dove ogni giorno migliaia di persone si danno concerto per terminare le opere. Camion e camioncini, automobili, gru, mezzi pesanti e leggeri, sfilano a fiotti sul decumano asfaltato (ribattezzato pomposamente World Avenue), una specie di termitaio sul quale si affacciano i cosiddetti self built, gli spazi auto costruiti e auto gestiti dai cento paesi in mostra e ideati per stupire il pubblico.
Nel resto dei lotti si esplica la mobilitazione totale: la lake arena, l’open air theater, la collina mediterranea, la cascina Triulza (altresì nominata “Padiglione della società civile”), e al centro imperioso il padiglione Italia, imbrigliato dai ponteggi come un mostro, sembrano gli avamposti della modernità, le trincee sventrate di una battaglia quasi persa. E non è un caso che l’apertura dell’Expo avvenga nel centenario esatto della Grande Guerra, in cui precipitammo riluttanti uscendone vincitori sconfitti.
Alberi per nascondere il carcere
Non un padiglione è finito a cento giorni esatti dall’opening, non un cluster, non uno spazio servizi. Neppure un lembo di terra può dirsi al riparo da questo brulichio di uomini e mezzi. I ponti, le passarelle, le vie di accesso, i camminamenti, niente è terminato. Intorno, la brughiera più brulla tempestata di orribili costruzioni, sullo sfondo nel suo rigore metafisico il carcere di Bollate. Dicono che gli alberi ne copriranno la vista, alberi già scelti tre anni fa che stanno crescendo nelle serre e presto verranno piantati. Dicono che il manto erboso sia arrotolato ben bene altrove e verrà stovagliato per tempo, e come un tappeto servirà a nascondere l’ultima polvere. Dicono.
Il miracolo del mago Silvan
Ci si aspetta che il mago Silvan Sala estragga dal cilindro, con un oplà, il coniglio. Sim sala bim: siori e siori ecco a voi l’Expo, e giù applausi. Più che una magia e l’hashtag renziano #expottimisti della nuova campagna twitter, servirebbe un aiutino dal cielo e dal meteo; #seapreèunmiracolo perché tutto sia finito in un botto, in tre mesi tondi, gli interni e gli esterni, dentro e fuori, le coperture e la moquette, le strade, le piazze, il distretto future food, il children park, i ristoranti, gli uffici, il teatro, e poi il cardo, le piazze, gli orti… lindo e pulito, una cittadella funzionante per accogliere venti milioni di visitatori, o anche di più, ma se fossero meno non sarebbe un problema, circa cento mila persone al giorno per sei mesi che precipiteranno da arei, automobili, treni, metropolitane per visitare l’Expo2015 dedicato al cibo, a come nutrire il pianeta nel prossimo futuro, e che non è ubicato nello splendido paesaggio della pianura mantovana o tra le vigne della Franciacorta bensì a Rho, all’incrocio di due autostrade con la statale del Sempione, delimitato da una ferrovia e una prigione, tra cavalcavia e sottopassi, corsie di accelerazioni e rotonde, cemento mal costruito in un recente passato.
Il derby Milan-Inter per 180 gg
Sarà l’apocalisse, una fiera di paese gonfiata fino al parossismo, il mercato di Natale degli obej obej illuminato per 180 giorni, il salone del mobile che prosegue per 24 settimane filate, il derby Milan-Inter tutte le sante sere; e si stenta a comprendere perché uno da Sidney, da Kuala Lampur, da Boston, da Odessa, da Lugano, da Bologna dovrebbe arrivare fin qui per assaporare il futuro alimentare della specie uomo, magari grufolare da Eataly, sgomitare tra la folla per le vie di questa cittadina di carta pesta che poi verrà smontata pezzo per pezzo. Gli economisti – non tutti – sostengono che sarà un business: tra costi in loco e infrastrutture alla fine Milano, la Lombardia, l’Italia hanno investito circa 10 miliardi di euro che torneranno moltiplicati se ognuno dei 20 milioni di visitatori spenderà di media 1.000 euro tra viaggi, vitto, alloggio, generi di conforto. Un meccanismo di spesa che genererà valore aggiunto e di cui beneficerà a futura memoria tutto il sistema regionale, posizionando nell’immaginario collettivo mondiale, Milano come capitale dell’innovazione culinaria.
L’Expo a Busto Arsizio
Intanto, appunto, i milanesi si chiedono cosa sia ’sto Expo. Lo stenditoio in piazza Castello (in verità trattasi di Expo Gate) non è piaciuto. La comunicazione per ora è stata fiacca. Fino a pochi mesi fa le attività marchiate Expo erano poche e mal viste, adesso sembra un profluvio di iniziative legate al cibo pronte a partire immantinente; e il logo si sta spargendo a macchia d’olio ungendo provincia per provincia la regione, e poi le regioni limitrofe, non essendoci nessun capoluogo che non avrà la sua bella mostra dedicata al mangiare, nessuna camera di commercio che rinuncerà a un fitto programma di conferenze sull’alimentazione, nessuna istituzione culturale che arretrerà di fronte al diktat, nessun paesotto che si sentirà escluso (perfino Busto Arsizio si è nominata porta dell’Expo). Migliaia di eventi si preparano, decine di migliaia, un’abbuffata, un’indigestione, un master chef collettivo, tutti saremo esperti di riso, cereali, cacao, tutti commissari tecnici di coltivazione di frumento e tuberi, tutti somelier di biotecnologie ortofrutticole. E il vento dell’Expo si propaga nella Penisola perché una volta finito il tour gastronomico panoramico in periferia, soprattutto gli stranieri vorranno visitare altro, magari Milano, i più facinorosi avranno l’ardire di raggiungere Firenze, Venezia, Roma, magari Napoli e non avranno pace, anche lì saranno perseguitati dall’Expo mania.
Il futuro del lotto
Poi tutto verrà smontato, come per un’operetta il fondale sarà arrotolato e riposto in cantina. Non rimarrà quasi nulla a Rho di questo immenso Luna Park. L’Expo2015 non lascerà a Milano la torre Eiffel, più probabile il sapore acidulo dei succhi gastrici. In situ, sopravviverà quasi solo il Padiglione Italia che delle cento costruzioni è l’unica in cemento.
La destinazione finale è sconosciuta: dopo lunga contesa tra le varie istituzioni coinvolte e i proprietari, i terreni sono stati acquistati da Comune e Regione e sono stati messi in vendita (edificabili) a oltre 300 milioni di euro, ma l’asta è andata deserta. Le opere di urbanizzazione sono già state eseguite, ma altre ce ne vorranno per un valore di circa 70 milioni. Il futuro dell’area resta incerto. A parte l’ubicazione, francamente non idilliaca, chi si prenderà la briga tra acquisto, opere ulteriori, e costruzioni, di investire un paio di miliardi di euro? E poi per farci cosa? Una mega speculazione edilizia? E chi acquisterà le case? Ce ne era bisogno, visto che a Milano esistono già nuovi quartieri residenziali vuoti?
E se chiamassimo Disney?
Giovanni, giusta la sua osservazione su di me, infatti evito di dare giudizi generalizzati e scriteriati .
Stop e chiudo
sul campo “di battaglia” dell’expo c’e un mio caro amico, un tecnico che m’informa dicome stanno veramente le cose… e questo articolo e’ abbastanza fedele ai racconti a me riportati dal mio amico. quanto alla querelle sui muratori bresciani/bergamaschi… bhe la manovalanza e’ quasi tutta prettamente albanese mentre i tecnicie gli impiantisti sono quasi nella totalita’ italiani.. prima di passare fesserie.. prego informarsi , al contrario evitare di scrivere CRETINATE.
P.S. ai bresciani e bergamaschi piace bere e mangiare, ma al lavoro sono sobri e si danno da fare.
Se i Magistrati avessero aspettato la fine naturale dell’Expo,cosa sarebbe cambiato?I lavori sarebbero finiti in tempo?L’Italia,sarebbe stata sputtanata,agli occhi del Mondo, ancor prima dell’Inizio?Mi sembra tanto una Manovra studiata con secondi fini!Un po’ come con l’Ilva!Lino.
dottor crespi, secondo me, il suo modo di esporre è assolutamente territoriale(il suo territorio)mentre l’oggetto in argomento e nientemeno che l’ esposizione universale,lei insiste con bergamaschi e bresciani certificati e garantiti da lei e dal suo dire, peccato che il giudice cantone che non è ne bergamasco e neanche bresciano la pensa diversamente, altra cosa che le sfugge e che i soldi per l’expo italiano(non di milano) sono stati dati dal governo italiano e dunque dalla collettività nazionale.
Intendevo con l’espressione “rigorosamente bergamasche e bresciane” che all’Expo hanno scelto le migliori imprese edili e le migliori maestranze sul mercato, credo, mondiale. Tra l’altro le imprese sono state scelte in piena autonomia per i cosiddetti self built da ogni singolo paese che partecipa. E se quasi tutti i paesi del mondo per costruire il loro padiglione si sono affidati a imprese italiane e nello specifico bergamasche e bresciane significa che esse sono considerate il non plus ultra. Fidandomi dei nostri muratori credo che Expo ce la possa fare, ma a che prezzo, col fiato alla gola, quando c’erano 6 anni puliti di lavori. Anche qui specificando che ai singoli padiglioni dovevano pensarci i singoli paesi.
Detto questo, come espresso chiaramente nel mio articolo, io stesso ho dubbi sull’investimento, i ritorni e sul disinvestimento finale. Ma infine sono pure ottimista. Staremo a vedere
angelo, infatti lei si è espresso non per quello che ha ma per quello che è
giovanni, è sconsolante leggere le minchiate che scrive.D’altra parte ognuno esprime per quello che ha.
vincenzo, è ovvio che lei fa parte di una di quelle squadre (che faranno ridere il mondo) a differenza sua che è un esecutore d’ordini, io ho sempre e solo lavorato in proprio e rischiato , il bicchiere di barbera lo lascio a lei che ne ha tanto bisogno (per lavorare e farci ridere) il post precedente l’ho scritto per sottolineare la dabbenaggine di chi ha scritto l’articolo senza rendersi conto di ciò che metteva in sieme , visto che l’articolista non lo ha precisato mi vuole lei spiegare, cosa significa “decine di squadre di operai,rigorosamente bresciani e bergamaschi” a proposito se proprio vuol fare delle citazioni, le faccia in latino o in inglese, non in un dialetto anonimo che conoscete solo lei e altri quattro gatti . mi stia bene e sobbrio
Vorrei rispondere al Sig. Giovanni. Ma come si permette lei, emerito ignorante e cafone, giudicare gli operai bergamaschi o bresciani degli ubriaconi. Si vede che lei è sempre seduto davanti ad una scrivania. Alzi il culo e vada a lavorare fra loro. Quando avrà, ammesso che ci riesca, messo il primo mattone loro avranno già terminato la casa. Solo allora si potranno bere un bel bicchiere di barbera mentre lei li guarderà mendicando un aiuto per fare quello che non sa fare. La saluto emerito cafone ricordandole che “A ogni fere ol so meste”
Per la serie ” Quando la realtà è dura da accettare” : questa dimostrazione di “grandeur” è come vedere un barbone al volante di una Ferrari che sfreccia per le strade sorridente con il braccio fuori dal finestrino.
a me sembra un articolo di un giornalista sovietico del tempo di stalin ,sono state inanellate tante fesserie mai viste insieme , leggo “squadre di operai rigorosamente bresciani o bergamaschi” forse la ragione che stanno a zero è proprio queste squadre, che difficilmente sono sobrie, io credo che l’expo è stata un’altra occasione per sperperare e rubare soldi dei cittadini italiani e sarà un fiasco clamoroso che farà ridere il mondo intero
Comments are closed.