I cani di Velasco finiscono alla Berlinale 2015

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Velasco

La notizia è di quelle che rimettono in pace con l’arte. “Velasco Vitali e Francesco Clerici hanno piacere di  annunciare che il film Il gesto delle mani è stato inserito nella selezione ufficiale Berlinale Forum 2015″. Una cosa straordinaria visto che il documentario segue il processo di creazione di una  scultura di Velasco, dalla cera al bronzo, presso la Fonderia Artistica Battaglia di Milano. Si tratta dell’osservazione di una squadra di esperti artigiani all’opera in una fonderia centenaria. Il loro lavoro disvela un’immutata cultura tecnica: quella della fusione a cera persa, la cui tradizione risale al VI secolo avanti Cristo. Nonostante le numerose innovazioni tecnologiche, ancora oggi per creare una scultura in bronzo si devono infatti seguire gli stessi passaggi usati per realizzare i bronzi di Riace. Questi passaggi non sono insegnati nelle scuole, ma ci sono stati tramandati dall’antica tradizione orale attraverso l’apprendistato e l’esperienza di generazioni di artigiani E oggi  sono raccontati con sapienza  dal regista Francesco Clerici

>Il Gesto delle mani
Durata: 77’ | Lingua: italiano con sottotitoli in inglese
Scritto e diretto da Francesco Clerici

Prodotto da Velasco Vitali e Fonderia Artistica Battaglia
www.ilgestodellemani.com

Ci racconta un episodio OFF dell’inizio della sua carriera, un aneddoto particolare che ha segnato gli anni della gavetta?

L’episodio OFF che ha segnato la mia carriera è avvenuto quando ero molto giovane: a cinque anni, quando mi facevano la classica domanda “Che cosa farai da grande?” rispondevo “Il pittore!”. Ne ero certissimo, era una decisione già presa, quindi tutto si è declinato secondo quell’obiettivo, quella regola, senza mai annoiarmi.

Lei è figlio d’arte…

Certo, forse l’imprinting deriva da lì.

Velasco-Vitali

Grazie al suo sguardo onirico sui paesaggi naturali e urbani lei è considerato uno dei maggiori esponenti della pittura e della scultura contemporanea italiana. Che cosa la colpisce di più in un paesaggio urbano quando decide di dipingerlo?

Mi piace questo taglio OFF dell’intervista perché mi sembra che in tutto il mio lavoro questa matrice sia paragonabile al titolo che potrei dare alle mie opere, è come se fosse il significato stesso di tanti miei lavori. Se penso al paesaggio urbano che ho indagato e descritto  in maniera certe volte fin troppo narrativa e altre volte in maniera molto sintetica  l’ho sempre indagato attraverso le periferie. Ho dipinto molte città di porto, le città di mare, dove la città è in trasformazione, un fatto estremamente evidente che si vede sulla pelle degli uomini, oltre che sul tessuto urbano. La mia ricerca è cominciata lì e ora è approdata alle città fantasma, alle città abbandonate… più OFF di così!

velasco vitali foresta rossa_10Ha fatto un percorso che l’ha portata a smaterializzare i suoi soggetti, l’abbiamo visto alla Triennale di Milano con Foresta Rossa

Questo è un tentativo, in realtà è anche una ricerca stilistica che si è imposta sul mio lavoro per un’esigenza precisa: prima di smaterializzare la materia stessa della pittura, ovvero il corpo del quadro, la figura, l’icona, ho cercato di smaterializzare lo sguardo. Questa idea è nata d’estate nel Sud Italia, l’osservazione del paesaggio a 40° nelle prime ore pomeridiane dà un senso di impercettibilità, risulta difficilmente definibile alla vista. Uno sguardo un po’ ubriaco, alterato, che non si lascia definire. Il mio tentativo, il mio problema in quel momento è stato quello di cercare di replicarlo in sintesi attraverso la pittura, da lì deriva la mia ricerca.

Le leggo l’incipit di una poesia di d’Annunzio che la riguarda: “Qui giacciono i miei cani / gli inutili miei cani, / stupidi ed impudichi, / novi sempre et antichi […]”. Quest’estate ero al Vittoriale, portavo in tournée il mio spettacolo sul Vate e sono rimasto affascinato dalla bellezza della sua installazione sui cani realizzata nel Mausoleo. Il tema dei cani è ricorrente nella sua poetica, perché?

Se qualcuno mi conosce, mi conosce per “quello che fa i cani”. Ormai da 10-15 anni installo in giro per piazze, luoghi, musei, palazzi questo branco di cani che per me è la rappresentazione di noi stessi, della nostra condizione. Non c’è nulla di più OFF di questa rappresentazione, perché i randagi per me sono esattamente la rappresentazione di una condizione umana: il miscuglio tra razze e lingue, la capacità di sopravvivere, di rapportarsi al capobranco, di cercare il miglior luogo dove stare nella città e poi da lì spostarsi di nuovo per cercare una condizione migliore, un benessere che in fondo è la replica della nostra condizione. Trovo fortemente contemporaneo questo atteggiamento.

Perché è definito l’anti-Cattelan?

Di mio non sono ‘anti-Cattelan’, ho molto rispetto per il lavoro degli altri. La differenza sta nel fatto che il mio lavoro è tutto demandato all’opera e al suo posizionamento, io continuo ad assegnare all’opera un valore primario, mentre il lavoro di Cattelan, al contrario, sta nel mettere in gioco la questione dell’opera. Su quest’inganno, su questa dichiarazione si gioca l’opposizione, che è anche divertente e farà molto comodo ai miei detrattori.

-velasco-vitali-in-studio-jpg-AXDJGZDJAl contrario dei suoi colleghi, lei lavora direttamente le sue opere, senza uno staff al suo servizio…

Sì, tranne che per alcune opere monumentali che materialmente non so fare, ad esempio la grande barca intitolataSbarco posizionata di fronte alla Stazione Centrale di Milano nell’anno in cui ho fatto la mostra a Palazzo Reale: quella era una realizzazione in parte mia e in parte fatta con l’aiuto di una sapiente carpenteria metallica che mi ha dato una mano per costruire un oggetto di 15 metri che necessitava di una certa tecnologia. Per quanto riguarda il resto, anche quando faccio dei bronzi in fonderia, intervengo fino all’ultimo, e anche nel post, nel cercare delle nuove parti di cesello. È un male – o un bene – dovuto all’educazione, che non mi fa immaginare di demandare il mio lavoro a qualcun altro.

Generalmente che tempi di lavorazione hanno le sue opere?

All’inizio lunghissimi, per dipingere un quadro impiegavo due mesi… poi mi sono scoperto velocissimo; ho avuto la fortuna di cominciare in maniera anche un po’ noiosa e ossessiva in giovane età, come un violinista che tutti i giorni si esercita per imparare una sola nota.

Che cosa consiglia ai giovani che cominciano questo mestiere e questa carriera?

È una grande sfida, ma sento che questo è un momento bellissimo. Uno che comincia si trova davanti a una grande possibilità: di fronte alla crisi di tutto, tutte le strade sono aperte. Quando ho cominciato io qualche strada era chiusa, qualche settore veniva recintato per interessi che non stiamo a raccontare. Ora anche le frontiere sono veramente aperte, per cui un giovane se ha iniziativa, forza, volontà, ha la possibilità di muoversi in tanti luoghi, su tanti fronti e c’è anche chi ha voglia di ascoltarlo.