Commuove la grande Lazio di Maestrelli e Chinaglia al Teatro Parioli di Roma

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Occhi lucidi in platea per la storia della squadra del 1974

Luciano attende, Luciano e Giorgio attendono. Di là c’è Tommaso, l’operazione è complicata, dicono abbia pochi giorni di vita. E il calcio non c’è, o forse sì. O comunque si parla di pallone senza che si veda il pallone.

È il racconto dell’ultima partita di una squadra epica, sono i titoli di coda della Lazio del primo scudetto, del 1974: quella di matti e vincenti, fasci e pistoleri, non i più forti ma i migliori. Luciano è Re Cecconi, Giorgio è Chinaglia, Tommaso è Maestrelli.
Il teatro si gonfia di storie di un dramma che segue la grande gioia. Tommaso Maestrelli, l’ultima partita, è una forma di teatro prima coraggiosa, poi romantica, che riesce, e diventa bella, appassiona, infine scuote, lasciando occhi lucidi in platea. Maestrelli (Nello Mascia) è sotto i ferri, il tumore sta prendendo casa nel suo corpo saggio, Ziaco (Gino Nardella) dice quello che nessuno vuol sentire quando dall’altra parte ci sono i propri affetti. E per Re Cecconi (Carlo Caprioli) e Chinaglia (Massimiliano Vado) di là ci sono gli affetti: un padre in più, come per tutti quei giocatori.
E si confrontano, il lato romantico di Cecco e quello scapestrato di Giorgio. 
Il maestro che rischia la vita e poi la ritrova e la squadra che orfana rischia di retrocedere e sente il bisogno di ritrovare le parole giuste nello spogliatoio anche se Tom non se la sente, parla da reduce, ripercorre la sua storia, la chiamata di Mazzola per diventare del Toro, il rischio di essere sull’aereo schiantatosi a Superga.

I dialoghi son forti e quando serve grotteschi, con Maestrelli che mentre la Lazio rischia di retrocedere vive il dramma di chi soffre senza volerlo mostrare, ma non torna pur volendolo fare. 
Poi torna, perché quelli sono i suoi ragazzi e non c’è confine tra la famiglia e loro e il cuore chiama, i ragazzi pure, forse convincendo Maestrelli che è l’ultima missione, ma che se non si rimette in panchina muore (anche) la Lazio. Infatti la Lazio non muore, salvandosi con un pareggio a Como in quella che è «l’ultima partita» ma Maestrelli sì, e poi Re Cecconi e poi Ziaco e poi Chinaglia. Che finiscono come tutti i tifosi della Lazio, a questo punto con lo sguardo umido (la platea, manco a dirlo, è quasi tutta di parte), immaginano. Ancora insieme. Prima dell’ovazione che è quasi una preghiera.