di Ludovico Gippetto*
Il Guercino trafugato recentemente a Modena spinge a considerazioni inquietanti sul furto delle opere d’arte. Di questi giorni è la notizia delle tre tavolette del Quattrocento rubate al Castello Sforzesco di Milano. Ecco l’identikit di chi ruba le opere d’arte. Spesso il serial collector è un insospettabile maniaco che si nasconde tra noi
Si è impreziosito di un nuovo importante dipinto il triste elenco delle opere d’arte trafugate nel nostro territorio. Si tratta, come tutti hanno potuto leggere il mese scorso, di una pala dipinta dal Guercino che si trovava nella chiesa di San Vincenzo a Modena: La Madonna con i santi Giovanni Evangelista e Gregorio Taumaturgo. Un pezzo esposto nella mostra conclusasi lo scorso luglio alla Reggia di Venaria di Torino dal titolo “Splendori delle corti italiane: gli Este”: un percorso espositivo, attraverso 90 opere (dipinti, sculture, strumenti musicali, libri…), che raccontava gli interessi artistici della casata, nonché dei principali artisti che furono al suo servizio, nel periodo che va dal ducato ferrarese di Alfonso I (1505-1534) a quello modenese di Francesco II (1664-1694).
Non a caso riportiamo questo dato: un indizio che ci riporta alla memoria un altro celeberrimo furto, anche quello di una tela di grandi dimensioni esposta precedentemente, anche in quel caso, in una grande mostra (a Milano), prima di essere trafugata a Palermo dall’Oratorio di San Lorenzo, nella notte del 17 ottobre del 1969: ovvero la Natività di Caravaggio.
(Guarda l’quietante storia dell’opera di Carvaggio sparita e mai ritrovata le ombre della mafia).
TRE IPOTESI DAL SAPORE THRILLER
Escludendo i ladruncoli occasionali che quasi mai riascono a vendere le opere trafugate, che saccheggiano senza sapere cosa si troveranno davanti, i ladri del Guercino sapevano benissimo che l’opera doveva viaggiare insieme alla sua cornice e al telaio; potremmo anche escludere l’ipotesi del riscatto, considerato che il pezzo non era assicurato, e quindi nessuna compagnia sarebbe stata disposta a pagare. Anche la chiesa non sarebbe stata in grado di ricattare il dipinto, considerato che non aveva neppure la possibilità economica di mantenere un adeguato sistema di allarme.
Allora chi rimane? In questi ultimi decenni, abbiamo messo a punto un nuovo approccio all’analisi di questo tipo di crimine, pertanto riteniamo probabile che una pista percorribile si possa individuare in uno di questi profili:
1) l’avventura criminale di un gruppo finanziario o di un’organizzazione malavitosa come la mafia oppure la yakuza giapponese, che potrebbero custodire le opere presso caveau di banche compiacenti, per ricavarne fidi da reinvestire in altri traffici, oppure esercitare una pressione per “trattative” già conosciute in passato;
2) furto a scopo di contraffazione, un’ ipotesi sostenibile per quelle organizzazioni internazionali che intendono ricavarne dei falsi i quali possono poi essere immessi facilmente nel mercato tramite “rimaneggiate” collezioni o case d’aste;
3) infine il “serial collector”, uno che vuole possedere a tutti i costi un quadro, spinto dal desiderio di manipolare e dominare; che vuole avere il potere di decidere se l’opera deve vivere in pubblico o morire nel silenzio di una stanza segreta, nascosta al mondo esterno, per godersela da solo. Il caso più emblematico della storia recente è quello dell’autriaco RH, 82 anni, soprannominato Mozart che ha trafugato per cinquantanni pezzi archeologici provenienti dal nostro Paese, con la convinzione di poterli coustodire meglio dell’Italia e che aveva creato ad hoc, come copertura, un’agenzia turistica specializzata in escursioni sui siti antichi.
COME AGISCE IL SERIAL COLLECTOR
Su quest’ultima ipotesi intendiamo porre l’attenzione; su questi ricettatori o committenti, insospettabili personaggi della società civile, potenti industriali o ricchi collezionisti senza scrupoli, sparsi in tutto il pianeta, affetti da una sindrome maniacale e possessiva nei confronti degli oggetti d’arte.
Come agisce un serial collector? Pensate per esempio a un documentario sulle tecniche di caccia di un leone. Il felino avvista un branco di zebre che si stanno abbeverando, ne sceglie una fra migliaia, facendo leva sull’esperienza che lo indirizza subito a percepire la vulnerabilità, la diversità dell’esemplare più debole in cui riconosce la vittima ideale. Certi collezionisti seriali fanno lo stesso, sempre a “caccia”, in cerca del pezzo più importante da possedere.
Supponiamo adesso, che il nostro “collezionista” si trovi a una mostra, per esempio alla Reggia Venaria di Torino, in cerca della “sua” opera. Mescolato tra i visitatori, si trova immerso tra le tante opere d’arte esposte, e mentre le osserva la sua ossessione lo fa diventare un cacciatore: deve riuscire a individuare la preda potenziale. Capire quale, tra tutte, è la più vulnerabile, la vittima prescelta. Prende nota delle dimensioni, trasportabilità, rintracciabilità, sistemi di guardiania e sicurezza del sito d’origine, dove da lì a poco ritornerà. Una volta fatta la scelta, deve sapere con esattezza di chi fidarsi e magari concordare come fare per portare via l’opera senza lasciare indizi né sospetti.
Prorpio gli indizi bisogna saper interpretare nello stesso modo in cui un medico valuta i vari sintomi per diagnosticare una malattia. Sir Arthur Conan Doyle disse per bocca di Sherlock Holmes: “L’eccezionalità costituisce un indizio. Più anonimo e comune è un delitto, più diventa difficile risolverlo”. In poche parole, più accurato è l’identikit, maggiori saranno le possibilità di restringere la rosa dei sospetti e arrivare così all’individuazione del colpevole. Forse guardando e riguardano i filmati della mostra di Torino, si potrà riuscire a individuare chi si soffermava più spesso davanti all’opera trafugata.
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