“Song’e Napule”: poliziotti, boss della mala e neomelodici

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Le due Napoli dei Manetti Bros.

di Pedro Armocida

Rieccoli i Manetti Bros. I due fratelli romani che amano giocare con il cinema. Soprattutto con i generi. E ora, con “Song’e Napule”, da giovedì nei cinema, riescono a superarsi, mettendo in scena un miscuglio, che ragiona sul postmoderno, tra commedia sentimentale, poliziottesco (il produttore è Luciano Martino insieme a Rai Cinema, re del genere e di quello erotico anni ’70 scomparso lo scorso anno), thriller e una rappresentazione grottesca ma mai superficiale o gratuita del vero e proprio mondo che si muove attorno al fenomeno dei cantanti neomelodici campani.
La storia è volutamente arzigogolata e segue le vicende di Paco (Alessandro Roja) un pianista che trova il posto fisso in Polizia ma, viste le sue capacità apparentemente non molto operative, finisce tra le scartoffie di un deposito giudiziario. Ma, quando incontra il commissario Cammarota (Paolo Sassanelli) sulle tracce di un pericoloso camorrista, verrà chiamato a infiltrarsi nel gruppo del cantante neomelodico Lollo Love (Giampaolo Morelli), per cercare di arrestare il boss durante un tipico matrimonio napoletano.
Il soggetto del film nasce nella testa dell’attore, votato anche alla scrittura, Giampaolo Morelli che in “Song’e Napule si trasforma strepitosamente nel neomelodico Lollo Love di cui in rete circola l’irresistibile finto videoclip “Cuoricina”: “Mi piaceva l’idea di mettere in scena due napoletanità a confronto: quella borghese di via dei Mille con quella popolare di via Chiaia, due mondi apparentemente lontani che in realtà convivono forzatamente”. Aggiunge uno dei due registi, Marco Manetti: “L’idea di Giampaolo ci sembrava geniale ma prima di trasformarla in film ci abbiamo messo 3-4 anni e quasi tutto il merito va al compianto Luciano Martino che ci ha spronato in ogni modo a portare avanti il progetto”.
La grande forza del film sta nella capacità affabulatoria delle immagini di raccontare di un immaginario, appunto, che va al di là di ciò che viene mostrato. Con un riallacciarsi alla tradizione cinematografica italiana che non è solo formale ma che scava anche nel recupero del lavoro degli attori cosiddetti caratteristi. Ecco le belle e ricercate prove di Paolo Sassanelli, Serena Rossi, Carlo Buccirosso e Peppe Servillo. Insomma “Song’e Napule” vuole essere, riuscendoci, un’opera intelligentemente popolare e di intrattenimento come se ne fanno poche oggi in Italia.

 

15.03.2014