“Il castello di K”: quando il potere genera paralisi

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Le spire della burocrazia soffocante nella piéce di Jacopo Bezzi

di Francesco Sala

 

È la storia di K, agrimensore (in tedesco Landermessen), colui che di professione misura, mappa, divide i terreni. A lui è affidato l’ordine delle terre. Una piccola comunità chiusa in se stessa non lo può accettare. Si sentirà rispondere dal Sindaco: “Di agrimensori non abbiamo che farcene. Non abbiamo il minimo lavoro da affidarle (quanto è attuale). I confini sono già tracciati e tutto è regolato!”. Non si vuole fare chiarezza. Nel castello di Kafka vige la pastoia burocratica, la nebulosa e convinta idea che tutto è già chiaro, non c’è bisogno quindi di un pensiero nuovo che venga a scombussolare questo equilibrio.

Al nostro uomo viene negata l’identità, lo si fa sentire continuamente fuori posto e fuori luogo. Lo si intrattiene nell’attesa di un colloquio con il Direttore che non avverrà mai perché non può avvenire. Si consuma un’attesa tragica, grottesca, disperata. Lui è un uomo superfluo, come tanti e superflua appare l’esistenza stessa. Qui, al castello, le notti non sono notti, non c’è riposo, non ci può essere intimità. Il potere si manifesta proprio quando uno spazio vuole rimanere immobile: fanno il loro ingresso due aiutanti, identici, nello spettacolo risolti con la garbata trovata di due manichini mossi dagli attori e parlanti da voci ventriloque. Perfettamente identici come le guardie di un altro capolavoro di Kafka: il “Processo”. K è un uomo che alla fine della sua vita non è, non riuscirà ad essere né buono, né cattivo, né eroe, né insetto; morirà destandosi finalmente dalla vita, che è sogno.

I molti ingressi previsti dalla scrittura kafkiana, adattata per l’occasione da Massimo Roberto Beato, vengono riproposti in questa efficace e funzionale regia d’antan al teatro – appartamento delle Stanze segrete, da un giovane regista proveniente dalla “Silvio D’Amico”: Jacopo Bezzi.

Bezzi ci appare un regista tradizionale nel senso crociano e buono del termine. Sembra non appartenere alla folta schiera dei suoi coetanei che si iscrivono d’ufficio al teatro della provocazione. Qui, il suo lavoro si concentra sulle atmosfere, sulle luci che sembrano a candela, sulla recitazione pulita dei suoi interpreti, tutti bravi, che citiamo: Massimo Roberto Beato, Nicoletta La Terra, Lorenzo Venturini, Brunella De Feudis, Ugo Benini. Le musiche vampiresche sono di Angela Bruni. Pochi posti nello storico spazio di Ennio Coltorti, registrando di martedì il tutto esaurito.