Pietro Masturzo, Vincitore del World Press Photo 2010

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di Sarah Palermo – Officine International

Pietro Masturzo, giovane fotogiornalista vincitore del World Press Photo 2010 con lo scatto Sui tetti di Teheran racconta in esclusiva per ilgiornaleOFF, le emozioni e i momenti vissuti nella capitale iraniana nei giorni del suo reportage con la cui storia si è aggiudicato inoltre il primo premio nella categoria People in the News.

SP: “Ci descrive come ha eseguito quella foto con cui ha vinto il WPF, dove si era posizionato per lo scatto e perché si trovava li?”

PM: “Ho scattato quella foto a Tehran pochi giorni dopo le elezioni presidenziali che si erano tenute il 12 giugno 2009. E’ andata così: ero in una casa in una zona centrale della città con diversi studenti iraniani e il mio collega/amico scrittore Carlo Maddalena. Si discuteva naturalmente delle elezioni, in quei giorni l’atmosfera era pesantissima. Rabbia e pessimismo erano i sentimenti dominanti. Io volevo che i ragazzi mi accompagnassero in strada per fotografare la protesta, ma avevano paura perchè non volevano farsi vedere con dei giornalisti stranieri senza permesso. La loro paura era dovuta anche ai nostri precedenti: pochi giorni prima Carlo e io eravamo stati sottoposti a fermo della polizia per aver fotografato le manifestazioni pre-elettorali senza un permesso giornalistico. Ci avevano schedati, sequestrato materiale, attrezzatura e passaporti. Ero molto nervoso in quei giorni, volevo fotografare quello che stava succedendo e non sapevo come fare. Non volevo mettere in pericolo le persone che mi stavano aiutando e onestamente anche io avevo paura di essere arrestato per la seconda volta. Cercavo quindi un modo di raccontare quello che stava succedendo senza prendere troppi rischi.
Nel frattempo sentivo notizie di altri giornalisti intrappolati nei loro alberghi con poche possibilità di movimento. Ad ogni modo, una di quelle sere dopo le elezioni, mentre ero appunto in quella casa al centro di Tehran, sento delle grida echeggiare in strada, chiedo ai ragazzi cosa fosse, da dove venissero. Mi spiegano che era gente che era salita sui tetti per gridare contro il regime così come era successo trent’anni prima, ai tempi della rivoluzione, nel ’79.
Mi sono fatto accompagnare subito sul tetto di quel palazzo e un attimo dopo ho capito che volevo raccontare la protesta dai tetti. La ragazza padrona di casa era piuttosto preoccupata di ospitare degli stranieri e così, anche sui tetti, dovevamo restare invisibili, abbassati per non farci vedere dalle strade, pattugliate dalla polizia, e dai palazzi circostanti.
Ho avvolto la mia macchina fotografica in una sciarpa e sono rimasto sempre quanto più nascosto possibile, ho rassicurato le persone con cui ero, che nel frattempo si erano messe a partecipare alla protesta dai tetti, che non sarebbero state riconoscibili dalle foto e naturalmente ho fatto lo stesso anche con chi era sui tetti attorno e con cui quindi non potevo comunicare. Ho iniziato a fotografare, usando tempi di esposizione abbastanza lunghi o lasciando i soggetti fuori fuoco.
La foto che poi ha vinto il WPP è stata una delle prime che ho scattato. Ricordo di aver visto quelle donne su un tetto vicino, ho appoggiato la macchina fotografica sulla balaustra per tenerla ferma e poter utilizzare un tempo di esposizione lungo. Ho scattato due foto e via. Nei giorni successivi ho continuato a salire sui tetti, anche di altre abitazioni.
E’ stata la protesta più affascinante a cui abbia mai assistito. Gli slogan più ricorrenti erano Allahu Akbar (Allah è il più grande) e Marg bar Diktator (morte al dittatore) gli stessi slogan che avevano, appunto, risuonato trent’anni prima.”