L’irriverente habitat del camaleontico Antonio Rezza

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“Antologia” una retrospettiva del teatro di Rezza-Mastrella al Vascello di Roma fino al 19 gennaio.

di Francesco Sala

In questi giorni la città eterna riflette sull’arte contemporanea. È in programmazione una mostra sulle arti visive degli anni Settanta al Palazzo delle Esposizioni; momento pieno per l’arte e inquietante per la società, saranno gli Anni di piombo; qui alcuni artisti ripensano completamente lo spazio artistico (chiamato habitat) e il pittore, musicista, attore, in quegli anni, è sempre di più un “performer“.
Gli anni felici di Daniele Luchetti è un film recente che racconta molto bene quel periodo. Questa è una delle tante ragioni per cui bisogna conoscere oggi il teatro di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, presenti in una retrospettiva al Teatro Vascello fino a gennaio 2014.
Il teatro Vascello è stato per la sperimentazione teatrale l’equivalente dell’Attico, La Tartaruga, la Salita per l’arte moderna: gallerie che favorirono l’espressione di numerosi artisti nel periodo della Pop Art romana e non solo. In questi spettacoli non c’è trama, “scenografia” è un termine abolito, non ci sono personaggi (definiti con disprezzo maggiordomi dell’interprete). Il teatro di Rezza-Mastrella è autonomo, camaleontico fino allo spasimo, assurdo, tragico, irriverente, surreale, astratto e molto concreto allo stesso tempo.
Provano i loro spettacoli un anno e mezzo e non hanno sovvenzioni statali. L’habitat di Flavia Mastrella, che starebbe bene in uno dei padiglioni di una mostra d’arte contemporanea, è fatto di drappi, ganci, corde, veli; avvolge lo spettatore in una specie di ragnatela. Entra in scena il ragno: Antonio Rezza, che con il suo corpo longilineo ed inquietante, sperimenta sulla sua pelle tutte le possibilità espressive di questo habitat.
Si ride parecchio nei loro spettacoli (il teatro è quasi sempre esaurito), il riso isterico che ne scaturisce è uno sbotto tragico esistenziale e incontrollato. Si possono criticamente ritrovare nel loro lavoro elementi del teatro di Antonin Artaud e sull’assenza di senso, su quel singoalare borbottìo rezziano c’è uno slang, un rimando, che potremmo definire “beckettiano”.
Le fattezze, la mostruosità del loro teatro sono: energia, potenza, generosità. Il loro gioco, come la nostra esistenza, è un gioco al massacro senza soluzione di continuità. Qualcosa da vedere e da vivere fino in fondo.