Janet De Nardis: “Con il mio film denuncio l’abuso della tecnologia e il rischio di manipolare le informazioni”

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Architetto, manager, mamma, regista e non solo, Janet De Nardis nasce come “signorina buonasera” all’inizio del terzo millennio sfatando, nel tempo, il mito della “bella e basta”. Dopo l’esordio dietro la macchina da presa con il corto Punto di Rottura è tornata nelle sale, lo scorso 5 ottobre, con il film Good Vibes che vede tra i suoi protagonisti la madrina dell’ultimo festival di Venezia Caterina Murino e l’attore britannico Vincent Riotta (diretto da mostri sacri come Ron Howard, Paul Haggis, Christopher Nolan e Ridley Scott).

Donna multitasking: ideatrice e direttrice di un affermato festival digitale internazionale, direttore editoriale di una radio e del suo magazine e ora regista di un lungometraggio. Chi è veramente Janet De Nardis?

Essendo una persona curiosa ed entusiasta della vita sono molto più di tutti questi ruoli che hai citato. C’è innanzitutto la volontà di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo e poi mi sento in continua trasformazione, spinta ad aggiungere esperienze a quelle già vissute. La vita mi ha offerto tante opportunità e io ho avuto solo il coraggio di coglierle, con il tempo sono maturata ovviamente perciò sono pronta a coglierne di nuove. Nel complesso posso dire che mi sento una Janet migliore.

Tu che sei da sempre una sostenitrice del digitale hai deciso di scrivere e dirigere Good Vibes che sembra una condanna alle innovazioni. Cosa in particolare ti ha ispirato il soggetto del film?

 Premetto che sono totalmente favorevole alla tecnologia e la sostengo. Ritengo che ogni innovazione di cui entriamo in possesso grazie a menti geniali sia sempre un dono prezioso. Il problema non sono le scoperte ma l’uso che se ne fa. I giovani di oggi non sono consapevoli dei vantaggi offerti dagli smartphone e dalla rete in generale perché non hanno mai dovuto, per esempio,  fare ricerche su una quantità innumerevole di libri come abbiamo fatto noi e quelli della mia generazione, per non parlare delle generazioni ancora precedenti. Purtroppo c’è l’altro lato della medaglia ossia, l’abuso della tecnologia. Proprio questo è il tema del mio film attraverso il quale io voglio denunciare in particolare il continuo abuso della privacy e l’esposizione di dati sensibili che permettono a qualcuno di manipolare le informazioni utilizzandole per finalità a cui magari oggi non pensiamo.

Hai una bimba ancora in tenera età, Joy, come hai deciso di gestire con lei gli strumenti tecnologici del momento ?

Con mia figlia ho cercato di ottimizzare la gestione degli strumenti tecnologici. Per ciò che riguarda lo smartphone ritengo che sia ancora troppo piccola per navigare su internet considerati i suoi sei anni. Le poche volte che le consento di utilizzare il mio telefono lo fa rigorosamente davanti a me per la ricerca di canzoni, avendole già insegnato a leggere e a scrivere diciamo che la sua ricerca rappresenta una sorta di esercizio,  oppure glielo consento per scattare fotografie. La navigazione in rete invece penso sia sbagliata per una bambina anche perché i video vanno condivisi e non fruiti in solitudine. Nei momenti di relax le permetto, sempre in presenza mia o di mio marito, di guardare un cartone animato. Certamente con la sua crescita questi parametri cambieranno ma ciò che certamente non farò sarà darle una disponibilità in autonomia dello strumento internet finché sarà tanto giovane. Cercherò di guidarla nell’uso della tecnologia senza demandare questo compito così importante ai suoi amici o alla scuola. Credo che sia necessario per un genitore consapevole spiegare bene  ai propri figli che in rete si può trovare di tutto ed è fondamentale convalidare ogni informazione che  arriva. Mi fido molto poco delle applicazioni che dovrebbero filtrare i contenuti per i più piccoli perché loro, essendo ormai nativi digitali, sono perfettamente in grado di bypassare i controlli.

Tornando al film: come mai hai scelto di metterti dietro la macchina da presa anziché davanti?

Sono anni che lavoro dietro le quinte, saranno dieci almeno e cioè da quando ho fondato il festival digitale. Ho sempre voluto essere io  dietro i meccanismi dando agli altri l’opportunità di crescita. Grazie ai miei studi di architettura ho imparato a sviluppare una visione di insieme che portasse ad un’armonia, ad un contenitore che ha come scopo finale quello di esaltare il contenuto. Collaboro da tempo con le aziende occupandomi di formazione, di sviluppo di contenuti, di nuovi format e dopo l’esperienza sul campo nelle vesti di regista di un cortometraggio, Punto di Rottura, ho creduto di essere sufficientemente matura per cimentarmi in una impresa più impegnativa. La realizzazione di Good Vibes la considero come un viaggio avventuroso, infatti è stato difficilissimo, pieno di difficoltà e di angosce. Come in tutti i percorsi però ho conosciuto tante persone dalle quali ho imparato moltissimo e che a loro volta hanno imparato da me.

Prossimi progetti?

Ho già pronte altre sceneggiature e sto interloquendo con altre produzioni al fine di mettere in piedi un nuovo film. Certo si tratta sempre  di percorsi lunghissimi  che si intersecano con  la vita che scorre perciò essendo io una professionista a 360 gradi continuo a lavorare in tutti gli altri ambiti lavorativi che mi interessano. Attualmente sono concentrata nella promozione del film ma sono già sul pezzo per tornare dietro la macchina da presa, scrivere nuove storie e sviluppare nuovi progetti cinematografici che spero tanto di poter realizzare.