In “Do ut des”, revenge movie contro la violenza di genere distribuito al cinema da “Flat Parioli” per la regia Monica Carpanese e Dario Germani, interpreta Leonardo, un imprenditore che si invaghisce, fino all’ossessione, di una bellissima studentessa universitaria. La Calabria, terra di cui è orgoglioso, i sogni e le passioni di chi ama la recitazione e vuole farne un mestiere in una strada che è sempre in salita e può nascondere sgambetti e cadute. L’attore Gianni Rosato parla della sua carriera artistica con l’impegno e le aspettative di un lavoro che, oggi, è sempre più difficile e improvvisato. I suoi modelli attoriali di riferimento? Uno su tutti il pluripremiato Pierfrancesco Favino. Perché, citandolo, “la raccomandazione non arriva dove arriva il talento”.
“Do ut des” è un revenge movie contro la violenza di genere. In che modo il cinema può aiutare a combatterla?
«Per fortuna “Do ut des” è solo un film, ma il mondo del cinema si è attivato e fa sempre di più. Il 3 marzo scorso, l’Unione Italiana Casting Directors (U.I.C.D.), l’Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo (U.N.I.T.A.), Amleta, Agenti Spettacolo Associati (A.S.A.) e Libera Associazione Rappresentanti di Artisti (L.A.R.A.) hanno messo a punto le “linee guida contro gli abusi durante la fase di casting”, regole su dove e come tenere gli incontri. Inoltre, tramite Amleta, scrivendo all’indirizzo e-mail [email protected], è possibile ottenere dei consigli, un supporto e, se è il caso, supporto per tutela legale. Si tratta di iniziative che hanno l’obiettivo di rendere l’industria cinematografica un po’ più sicura. Un’industria che, seppure ancora fortemente dominata dagli uomini, registra sempre più donne che hanno iniziato a ricoprire un maggior numero di ruoli registici ed esecutivi, le posizioni di potere che ne plasmano la cultura. Il grande schermo è un luogo dove lavorano molti freelance che passano da un progetto all’altro, un assetto che rende difficile contenere i predatori e particolarmente rischioso denunciarli».
Chi è il suo personaggio?
«Leonardo, un imprenditore di successo. La sua storia si intreccia con quella di Francesca (Ilaria Loriga, ndr), studentessa universitaria e modella, diffidente verso gli uomini a causa di un passato che continua a seguirla. Questo suo essere sfuggente alimenta il desiderio che ha per lei, tanto da diventare un’ossessione. Leonardo è abituato ad avere tutto, a prendersi tutto. Tratta le donne un po’ come fossero oggetti, quasi dei giocattoli rotti che è solito mettere da parte dopo aver ottenuto ciò che vuole. Le cose però cambieranno per lui nel corso del film. È un personaggio che presenta sicuramente un lato spregevole, ma imparerà a sue spese che, a volte, un determinato modo di agire costa un prezzo molto alto da pagare».
Come si è preparato alla sceneggiatura?
«Era il periodo del Covid, delle restrizioni, quindi non abbiamo avuto tantissimo tempo per lavorare insieme. Abbiamo costruito i nostri personaggi in base alle direttive che ci sono state date dal regista durante la fase di casting, per poi portare la nostra proposta sul set e plasmare il personaggio in base alle direttive di regia. Inoltre ho visto tanti film di genere per poter capire cosa evitare per non essere ripetitivo. Cercavo la mia originalità e spero di essere riuscito a regalarla al mio personaggio».
La bellezza è stata un ostacolo o un vantaggio nel suo mestiere?
«Personalmente non mi reputo eccessivamente bello, direi che sono nella norma. Però, credo che gli standard di bellezza non esistano solo per le donne, ma anche per gli uomini, e possono essere altrettanto irraggiungibili e mortificanti. Anche i maschi si sentono a disagio se sono troppo bassi o troppo alti, troppo magri o troppo grassi, se perdono i capelli o se non riescono a farsi crescere la barba. Con il metrosexual, infatti, si è creato il paradosso di un nuovo modello di mascolinità al tempo stesso attraente e respingente, la cura del corpo maschile viene esaltata e insieme stigmatizzata perché considerata una “cosa da gay”. Oggi la categoria è stata superata, ma resta l’impossibilità per gli uomini di prendersi cura di sé, per esempio depilandosi, senza essere ridicolizzati poiché i canoni di perfezione maschile restano i medesimi: i muscoli, l’altezza, la mascella strutturata».
Quando ha capito che sarebbe diventato un attore? Com’è scattata la molla?
«Ero poco più di un bambino quando, durante le feste comandate, costringevo parenti e amici, seduti a tavola, ad un rigoroso silenzio perché dovevo esibirmi nel mio spettacolino che, con tanta cura, preparavo ogni anno… Così ho capito che quella sarebbe stata la mia strada…».
Di origini calabresi, quali sono, se ci sono, le opportunità per un
promettente attore in una regione come la Calabria?
«Penso sempre alla gioia e all’orgoglio di essere un ragazzo del Sud ma, allo stesso tempo, alla rabbia nel vedere che numerose opportunità nella nostra straordinaria terra, che ha un potenziale illimitato, restano aride e nessuno investe per apportare migliorie. Al cinema, di recente e grazie alla Fondazione Calabria Film Commission, la situazione si sta completamente ribaltando, in positivo ovviamente. Bisogna essere ambiziosi, determinati, non dobbiamo mai dire di non avere possibilità e se mancano dobbiamo crearcele!».
Il ruolo che sta ancora aspettando di interpretare?
«Tutti quelli che non ho mai ancora fatto (ride, ndr). Scherzi a parte, mi piacerebbe tanto lavorare con molti registi di pellicole d’autore, ma quelli che ancora non ho fatto è perché non sono ancora arrivati. D’altronde, come si dice, the best is yet to come!».
I suoi modelli italiani di riferimento nella recitazione?
«Tantissimi, ma uno in particolare: Pierfrancesco Favino».
Perché?
«Tempo fa, in un’intervista disse che “la raccomandazione non arriva dove arriva il talento”. Rimasi folgorato, già lo apprezzavo artisticamente e con questa affermazione ha messo la ciliegina sulla torta!».
È soddisfatto del suo percorso artistico o manca ancora qualcosa?
«Assolutamente. Ma, con immensa umiltà, sono dell’avviso che non esista un percorso, la strada è sempre in salita ed è necessario essere sempre preparati per affrontarla senza rischiare di scivolare».