“Il sogno di Jacob” l’arte di Nik Spatari nel doc di Luigi Simone Veneziano

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A cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 l’artista Nik Spatari si avventurò con sua moglie, la collezionista e fotografa olandese Hiske Maas, nelle terre d’Aspromonte in cui era nato dando vita all’impresa eroica della costruzione del Musaba. Il museo laboratorio è divenuto un faro per moltissimi artisti. Spatari è stato un artista enorme, rivoluzionario capace di catturare la luce come pochi e donando alle opere colori vivi, come un Van Gogh calabrese. La sua vita e le sue opere sono il soggetto del docufilm “Il sogno di Jacob” diretto da Luigi Simone Veneziano e prodotto dall’associazione culturale Le Sei Sorelle. Il racconto della vita del celebre artista che miscela materiale d’archivio e fiction, è stato presentato in  anteprima al cinema Citrigno di Cosenza.

Nel docufilm è possibile scrutare una miriade di sfumature dell’uomo e dell’artista Nik Spatari. Ma chi era davvero?

Un visionario, un artista  di una sensibilità estrema. Era privo di un senso importante, l’udito che perse da giovane. Cominciò per via di una questione genetica e i bombardamenti della seconda guerra mondiale lo accentuarono. Il mio film si apre in bianco e nero su di lui che da bambino perde l’udito e da quel momento tutto prende colore. Nik era una persona eccezionale che nonostante la sua sordità sapeva cogliere il mondo in maniera eccelsa, tra l’altro non ebbe mai alcun problema nel farsi capire ovunque andasse. Visse in Francia, in America, in Olanda dove ha conosciuto la collezionista e fotografa Hiske Maas che divenne poi, sua moglie. Inoltre, aveva una passione per l’uso della luce, motivo per cui decise di tornare in Aspromonte. Terra bagnata da una luce che in altri luoghi non era mai riuscito a trovare.  A tratti ricorda il Messico tra paesaggi lunari e terre desolate, dove la luce si riflette sui massi bianchi donando colori particolari. Nik decise di andare a viverci in un periodo buio per la Calabria e portò la luce; aprì uno spiraglio, trasformando un vecchio rudere in un luogo d’arte che nel tempo ha avuto numerosi visitatori. Un laboratorio dove molti artisti internazionali hanno vissuto e in cui hanno potuto realizzare le proprie opere, rispettando ovviamente i canoni estetici di Nik.

Ci racconti il momento in cui Spatari divenne l’artista più famoso della Francia grazie al “furto” di una sua opera per mano di Jean Cocteau?

Divenne l’artista più celebre grazie a un curioso aneddoto: Cocteau rubò un suo quadro per quanto lo ammirasse, da qui ebbe inizio la sua carriera artistica da adulto. Utilizzo la parola “adulto”, perché Nik aveva già vinto da ragazzino il concorso a “Il Corriere dei Piccoli” come miglior giovane artista italiano con un suo disegno sulla seconda guerra mondiale. 

L’assenza di udito credi possa renderlo paragonabile a Goya? Nonostante vi sia tra i due un processo inverso per giungere al compimento di un’opera

Non sono un critico d’arte, però conoscendo l’arte di entrambi posso definirli come due geni agli antipodi in quanto uno cerca di cogliere ed elogiare la forza della luce e l’altro, invece, al suo posto preferisce il buio. Credo che il processo che abbia condotto entrambi nella propria catarsi artistica possa ricondursi all’elemento mancante, l’udito, così da suscitare un’interpretazione diversa del mondo. 

Il Musaba potrebbe essere definito l’opera capitale del maestro Spatari, il suo tempio?

Lo definirei più una protesi del suo corpo. Adesso la sua salma riposa lì, come un’opera d’arte ed è possibile visitarla. Anche questo ci dice quanto il Musaba sia stato importante per Nik e quanto sia personale, così tanto che ha deciso di farne parte. E’ un’opera molto intima nonostante si tratti di un luogo così vasto.

Attraverso il racconto dell’artista si è come rapiti da una luce, da una spiritualità: una sorta di ritorno all’origine.  

Sicuramente aveva una grande vocazione spirituale e anche religiosa, ma in maniera alternativa. Ad esempio, il grande mosaico tridimensionale, l’unico che sia mai stato realizzato, racconta numerosi episodi biblici ma in un linguaggio moderna. Nell’Annunciazione vi è nel grembo della Madonna una scintilla luminosa ed io, osservando l’opera, chiesi a Nik se quello fosse lo spirito di Dio e lui mi rispose che si trattava del bosone di Higgs, quindi la particella di Dio. Aveva una visione ultramoderna nonostante i suoi novant’anni e in lui fede e scienza si univano fortemente. La sua forte spiritualità si avverte anche quando si ha l’occasione di visitare lo splendido Musaba.

Come è nato il tuo viaggio nell’esperienza umana e artistica di Nik Spatari?

L’incontro con Nik è stato folgorante. La costruzione del film nasce da un canovaccio che poi ha subito delle modifiche durante le riprese perché c’era una scoperta continua del suo mondo, del suo passato, della sua incredibile vita. Ho trovato all’interno di un magazzino abbandonato delle pellicole in Super16. I filmati sono stati realizzati tutti da Nik e sono sorprendenti; possiedono una luce stupenda. Un viaggio tra presente e il passato, in cui la figura allegorica del bambino racchiude il suo spirito, quello che ha portato sempre con sé attraverso la sua purezza e che spero si senta nelle immagini. Nasce tutto da lì, dall’infanzia.