Villa Malaparte è un’icona dell’ architettura razionalista italiana realizzata dallo scrittore, intellettuale, giornalista e poeta Curzio Malaparte, che per anni visse in questa sua dimora arroccata sulle scogliere di Capri
Si può immaginare come una magnifica scenografia creata su uno scoglio prospiciente il mare di Capri. Una scenografia diventata un’opera unica e irripetibile, che Curzio Malaparte disegnò in contrasto con il progetto di Adalberto Libera inizialmente interpellato. La pensò con una grande partecipazione e immedesimazione. “Vorrei costruirmela tutta con le mie mani, pietra su pietra, mattone su mattone” disse in suo scritto. La volle con una grande scala che porta ad un’ampia terrazza. Una copertura solarium che domina il mare di fronte ai faraglioni di Capri. Avvolta in un colore rosso pompeiano, la villa con il suo stile rifugge da manierismi raccogliticci: nessuna colonnina, nessun arco, nessuna finestra ogivale, nessun ibrido moresco romanico o gotico. Si potrebbe dire che nella Villa Malaparte la scala è simbolo forte e indiscusso dell’opera, non una mera soluzione distributiva. La terrazza, a cui si arriva con aperture nuove e folgoranti sulla natura intorno, diventa uno spazio assimilabile ad una stanza a cielo aperto in cui l’unico ornamento che appare è un ricciolo bianco che nasconde la canna fumaria.
Quando Malaparte acquistò il terreno a Capo Massullo, un promontorio a sud est dell’isola di Capri, si rese conto che il luogo era raggiungibile solo a piedi dopo una traversata in barca quando il mare lo permetteva. E forse questo era considerato da Malaparte un aspetto unico ed esclusivo per avere quella tranquillità che tanto desiderava. Luogo non solo difficilmente accessibile, ma dichiarato anche non edificabile. Difficoltà che fu superata, si dice, per i forti legami politici di Malaparte.
Villa Malaparte viene ritenuta un esempio di integrazione tra modernità ed ambiente naturale, ma, al di là di facili e frettolose classificazioni, l’opera in verità è la rappresentazione più compiuta dell’artista e del suo mondo ideale.
I critici non la compresero nella sua essenza. Ne limitarono il giudizio a categorie indefinite di riferimento architettonico, trascurando il complesso di soluzioni presenti: scenografiche, scultoree, architettoniche
Zevi la definì “un segno faraonico, incompatibile con il paesaggio, ma così forte da offrirne un’alternativa stupenda”.
Per Argan non vi è “nessun mimetismo, nessun naturalismo mediterraneo, né cadenza vernacolare. La migliore opera suprematista del XX secolo”.
Si dibattè sul genius-loci e sull’inserimento paesaggistico, sull’architettura organica e sulla sostenibilità. Un dibattito che non tenne conto dell’incanto del fuori scala della scala esterna, in equilibrio sull’orizzonte.
Nel progetto Curzio Malaparte voleva rispecchiare il mondo che lo circondava: «Mi apparve chiaro, fin dal primo momento che non solo la linea della casa, la sua architettura, ma i materiali con cui l’avrei costruita, avrebbero dovuto essere intonati con quella natura selvaggia e delicata. Non mattoni, non cemento, ma pietra, soltanto pietra, e di quella del luogo, di cui è fatta la roccia, il monte»