Palamara e Sallusti hanno realizzato l’aspirazione di molti autori: quella di scrivere un libro che si inserisca in maniera organica nel corso degli eventi e riesca ad influenzarli. Ci riuscì nel Settecento il giurista e filosofo illuminista Cesare Beccaria che nel suo Dei Delitti e delle Pene dimostrò l’inutilità anzi, la nocività della tortura per la ricostruzione del vero nelle dinamiche giudiziarie. Nel clima del dispotismo illuminato precedente la Rivoluzione francese Beccaria trovò il Granduca Leopoldo d’Asburgo capace di trasformare i due capitoli salienti del libro (sulla tortura, sulla pena di morte) in storici articoli di legge che conferirono in Toscana un volto più umano alla giustizia penale.
Certo, Il Sistema. Lobby e Logge (ed.Rizzoli) nel nostro panorama politico-giudiziario difficilmente troverà un legislatore illuminato capace di una riforma organica del sistema. E tuttavia il clima è cambiato rispetto a qualche tempo fa. La volontà di superare la lotta tra correnti così crudamente descritta nel libro-intervista si è manifestata: nella riforma Cartabia (come definirla: un buon inizio o almeno un inizio?) nelle iniziative referendarie.
Il libro della “strana coppia” Palamara-Sallusti ha contribuito a questo corso di eventi muovendosi con iper-realismo nel mondo di magistrati, faccendieri, funzionari dello stato e privati riuniti per influenzare a proprio vantaggio le dinamiche giudiziarie. In verità, a leggere le risposte di Palamara alle sollecitazioni di Sallusti, il termine di “loggia” appare alla fine improprio per indicare queste manovre. Grembiuli e vessilli massonici poco hanno a che fare con la cupola di magistrati e lobbysti vari intenti a perseguire i propri interessi e a fare strame del principio della divisione dei poteri.
Trenta anni fa Tangentopoli, al di là dei meriti che ebbe quell’insieme di inchieste sulla corruzione politica, rappresentò anche un momento di criticità per quella distinzione di ambiti tra esecutivo, legislativo e giudiziario che ebbe con Montesquieu la sua classica definizione. Ricordiamo i toni da tribuno della plebe di Tonino di Pietro, l’algida “disponibilità” manifestata da Francesco Saverio Borrelli a ridisegnare l’ordinamento politico italiano qualora i magistrati fossero chiamati a farlo. Per non parlare del truce giustizialismo di Davigo (“Non esistono innocenti…”). Oggi la stagione è diversa. Il sasso gettato nello stagno dell’opinione pubblica da Palamara e Sallusti si allarga a raggi sempre più ampi, sperando che quei raggi di consapevolezza ampliandosi nel tempo non diventino anche più evanescenti