Gabriele Anagni sotto la dolce ala della giovinezza

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Gabriele Anagni è uno di quei giovani attori italiani che sembrano appartenere ad un’epoca passata, con l’eleganza e il modo di porsi ad un pubblico figlio degli anni ’60. A eatro ha lavorato su classici come “Un tram chiamato desiderio” e “La dolce ala della giovinezza”, entrambi di Tennessee Williams. Oltre al palcoscenico, però, Anagni è spesso sui set, tra i film in cui ha partecipato “La verità vi spiego sull’amore”. Diverse le sue apparizioni in serie tv: Il paradiso delle signore, Un medico in famiglia 6, Questo nostro amore. Il ruolo televisivo che gli ha dato maggiore fama è quello del giovane Claudio in “Un posto al sole”.

La tua carriera nasce e si sviluppa dal teatro. Dopo l’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico cominci a prendere parte a spettacoli importanti. Cosa hai provato la prima volta che hai recitato sul palcoscenico?

Ero piccolo, avevo dodici anni e ed ero alle prese con “La fattoria degli animali”, uno spettacolo ai tempi delle scuole medie e quello è stato il momento in cui ho capito di voler fare questo mestiere. Mio padre ha sempre lavorato come organizzatore teatrale, per cui io ho vissuto sin da bambino il clima delle prove, l’odore del palcoscenico e devo dire che ritornare a dodici anni a stare sul palco mi ha fatto sentire  a mio agio ed ho percepito subito che si trattava di qualcosa di familiare. Quindi, rispondendo alla tua domanda, la prima volta è stata forgiata da una moltitudine di sensazioni positive.

Nonostante la tua giovane età hai già lavorato ad opere complesse, dando vita a personaggi pieni di sfumature. Ce n’è uno che rispetto agli altri ti ha reso il viaggio introspettivo un enigmatico incubo?

Un personaggio ci si è avvicinato a questo, Smerdjakov de “I fratelli Karamazov” ed è un ruolo che per me significa tanti incubi non soltanto per la sua psiche ma soprattutto perché è il personaggio che stavo portando in scena quando  le luci dei teatri sono state interrotte dalla pandemia. Però, al di là di questa sorta di negativo ricordo professionale, sicuramente si tratta del personaggio più difficile che io abbia mai interpretato, una figura che vive una malattia mentale  e che ha dei momenti di follia estremamente difficili dal punto di vista attoriale. Sfumature che richiedevano una grande maturità.

Lavori spesso sui set televisivi e cinematografici. Come vedi la macchina da presa? Una sorta di pubblico che a differenza del teatro ti permette di ripetere una scena?

Sulla macchina da presa ci si potrebbero raccontare un’infinità di cose perché è un mondo a sé. Si tratta di un oggetto che va sedotto e che sembrerebbe quasi avere un’anima per certi versi. Quando l’attore è sul placo seduce il pubblico, lo porta a sé, la stessa cosa avviene quando si gira una scena dinanzi alla macchina da presa ma con l’utilizzo dei trucchi cinematografici che invece a teatro non ci sono.

Da novembre sei tornato in scena con “La dolce ala della giovinezza” per la regia di Pier Luigi Pizzi. Cosa puoi raccontarci di questo tuo ritorno in scena?

 Nasce da uno scambio di idee tra me e mio padre, perché lui voleva da tempo portare in scena un testo di Tennessee Williams ed  io avevo lavorato l’anno prima con Pier Luigi Pizzi in “Un tram chiamato desiderio” ed eravamo rimasti in ottimi rapporti. Così è nato tutto, Pier Luigi mi ha individuato come protagonista ed Elena Sofia ha da subito creduto al progetto e lo ha reso fattibile. Si potrebbe dire molto altro, ad esempio che è un grande regalo ripartire a lavorare in teatro al fianco di un’attrice come lei e per me è un motivo d’orgoglio, assolutamente.