Quando la Fede sfida e supera la pandemia

0

La storia degli eroici ragazzi di Don Bosco ai tempi del colera a Torino

Salutisti, iperigienisti, cultori dell’Amuchina, quelli che “la religione è un mucchio di superstizioni, per fortuna oggi abbiamo la scienza”, scansatevi, perché gli eventi qui narrati vanno contro ogni vostro credo di Stato e faranno inorridire con voi orde di mamme apprensive e millennials digitalizzati. Torino, 1854: la capitale sabauda, con lo sguardo già proiettato verso l’unità nazionale, viveva la tragica esperienza di un vero e proprio lockdown ante litteram per una micidiale epidemia di colera che colpì in particolare la zona di Borgo Dora. A quei tempi, prima della solidarietà veniva la pellaccia: nessun volontario, neppure i medici, a portare sollievo ai sofferenti. Nessuno che volesse infilarsi, a rischio infezione, nel tanfo dei bassifondi, nessuna “missione umanitaria” che portasse la bella gente ad esibirsi in gesti di bontà. Come sempre in questi casi, solo gli enti religiosi si fecero avanti, coi mezzi di cui potevano disporre e il santo dei giovani, quel Don Giovanni Bosco che mai temeva di sporcarsi le mani, aveva ben poco da offrire. Nel pieno dell’epidemia, confortato da una folla di fedeli stipati presso la Chiesa di Maria Ausiliatrice (niente distanziamento o chiese chiuse, signori), il futuro santo decise di rivolgersi ai suoi cenciosi marmocchi paternamente recuperati dai bassifondi torinesi. Il 5 agosto, di fronte ai loro occhi incorniciati da faccette sporche, rivolse parole che oggi susciterebbero sdegno o ilarità. Le riferisce con esattezza il primo biografo ufficiale del santo, Don Giovanni B. Lemoyne: “Se farete quanto vi dico, sarete salvi, ma se qualcuno rimanesse ostinato nemico di Dio e osasse offenderlo gravemente io non potrei più essere garante né di lui, né per qualunque altro”. Li sollecitò, quindi, a portare al collo una medaglia della Madonna, preludio a un invito ai limiti dell’inaccettabile: con il solo scudo di una Fede totale di cui solo i bambini sanno essere esempio, si sarebbero addentrati in quell’inferno di tuguri maleodoranti a portare sollievo ai malati. Che il lettore inorridisca e latri di sdegno, perché la risposta di quei giovanissimi, meravigliosi rifiuti della società fu decisa ed entusiasta. Circa una cinquantina di ragazzi senza storia entrò nella storia, trovando una ragione per essere al mondo. “Mio Dio, percuotete il pastore ma risparmiate il tenero gregge”, pregava Don Bosco. E l’eroico gregge – molti i testimoni dell’epoca – fu incredibilmente risparmiato, dopo giorni di sacrificio tra malati e defunti. Tutti, pastore e discepoli “puzzavano di gregge”, Francesco docet. Perché l’eroe non è mai profumato, né sano di mente. L’eroe dà fastidio. Rompe schemi. È divinamente folle.

Dario Noascone