Pino Strabioli: “Quella cena con Giulio Andreotti…”

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Quasi trentacinque anni di carriera e una vita sempre tra riflettori e microfoni, alternando tv, radio e teatro. Con strizzate d’occhio al cinema e all’editoria. Pino Strabioli è indubbiamente uno dei nuovi volti della cultura italiana. Perché lui, soprattutto negli ultimi dieci anni, l’ha raccontata sul serio, facendo da spalla a chi, magari, era “più in qualcosa” di lui. Con estrema umiltà, ma con grande maestria. Disegnando così, con semplicità, preparazione e passione, Storia e storie d’Italia. Come fa ancora, anche in questi giorni difficili, su Rai Radio 2 con Viva Sanremo e su Rai 3 con Grazie dei Fiori.

Hai esordito nel teatro all’età di 23 anni: com’è andata la tua prima volta?

Da studente seguivo il teatro a Orvieto, dove vivevo, ne ero innamorato. Una volta trasferito a Roma, tentai l’esame all’Accademia d’Arte Drammatica, ma venni bocciato. Dopo un piccolo corso regionale, il mio esordio avvenne con Patrick Rossi Gastaldi: ricordo l’inesperienza, l’incoscienza. Ma, al contempo, la gioia e il benessere che mi dava quel piccolo palco.

La prima difficoltà che hai incontrato sul palco.

Ero a Milano, anno 1996-97, per I Viaggi di Gulliver con Paolo Poli. Nonostante avessimo centinaia di repliche alle spalle, una sera, una volta in scena, la mia mente si svuota. Mi venne in soccorso Poli. Da lì in poi ho sempre avuto paura di scordare le battute.

Tu hai incontrato i più grandi d’Italia, ma quale stretta di mano ti è rimasta più nel cuore?

Mi viene in mente una cena intima, a casa di un’amica. Lì c’era Giulio Andreotti: è stata una grande emozione. Un pezzo di storia del nostro Paese, indiscussa, nel bene e nel male. Tra quelle legate al mondo dello spettacolo, ricordo con affetto gli incontri con Dario Fo, Valentina Cortese, Giorgio Albertazzi, Mariangela Melato…

Ma tu, invece, da chi ti vorresti far intervistare?

Bella domanda, difficile. Direi Enzo Biagi, che non c’è più. Anche se non amo molto essere intervistato in televisione.

Passiamo al cinema: sei stato addirittura diretto da Pupi Avati, nel 1992. Come andò?

Di lui ricordo l’umanità, il fatto di riuscire a metterti sempre a tuo agio, a comunicarti un’emozione. Devo molto sia ad Antonio che a Pupi Avati. Ho fatto pochissimi provini nella mia vita, ma per la televisione ne ho fatto uno con entrambi: per T’amo TV, su TMC. La mia carriera è nata grazie a loro.

A proposito, a breve festeggerai 30 anni dal tuo debutto televisivo: dimmi un programma che vorresti riproporre in tv e, magari, condurlo.

Mi piacerebbe tornare a parlare di teatro, l’ho fatto per dieci anni con il programma Cominciamo bene su Rai3. Perché c’è una generazione di attori bravissimi che merita di essere raccontata.

L’intervista che ti dispiace non aver fatto.

Probabilmente Marcello Mastroianni. Ricordo due cene a Todi con lui, ma a quei tempi facevo solo teatro. Avrei adorato intervistarlo, sia perché era un monumento mondiale, sia perché avevo intravisto in lui una forte umanità. Ah, vorrei anche intervistare Sophia Loren: non ci ho ancora provato.

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