“Quel fax da Miami: “priorità mondiali Paolo Meneguzzi e Madonna”…

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Tra il 2003 e il 2005 con i singoli Verofalso, Lei è e Non capiva che l’amavo, Paolo Meneguzzi ha toccato l’apice della sua carriera. Il cantante italo-svizzero, superstar in Sud America e idolo delle ragazze qui in Italia, dopo aver presentato Grande nel lontano 2008 sul palco del festival di Sanremo ha fatto perdere le sue tracce. E’ il brano Il coraggio, in radio dal 3 aprile, a segnare il suo ritorno.

Come nasce questa canzone?

Il coraggio è, in questo caso, la voglia di libertà. Viviamo in un mondo compromesso da regole e vizi economici e inutili. A rimetterci sono i più fragili, che sono condizionati da un sistema e diventano vittime e schiavi. Ecco che per vivere devi tirar fuori il coraggio.

Cosa le stanno dicendo i suoi fan in questi giorni?

Che sono preoccupati, confusi. Che è molto difficile dare un senso a tutto quello che stiamo facendo. Anche lo stare in casa diventa un bho, non so. Ancora più difficile analizzare se non far il conto con i morti che fa un avversario fantasma. Nessuno sa cosa sia la cosa giusta da fare, ci si fida e si va avanti, ma come accade tutti i giorni, d’altronde, adesso l’aggravante è che siamo rinchiusi in casa. Ma quando non siamo rinchiusi, in realtà, non siamo lontani comunque dai veri valori?

Questo singolo anticipa il suo prossimo album. Cosa può dirci?

L’album è una uscita bimensile di singoli che comporranno una serie di file e di video sui social. E’ un linguaggio nuovo, come lo è anche il linguaggio che uso nei testi. Vediamo come verrà preso dai fans.

Preoccupato della possibile reazione del pubblico?

No, per nulla. Ho sempre fatto le cose con istinto artistico. Se una cosa piace o meno al pubblico è una conseguenza che non mi riguarda. L’importante è che io abbia fatto qualcosa di autentico per me. Poi il resto è un valore che si dà all’arte per la sua commerciabilità, non certo per il valore dell’arte stessa, che a qualsiasi livello è sempre uguale.

Perché è sparito dalle scene?

All’inizio perché gli addetti ai lavori hanno cominciato a chiudermi le porte, gli stessi che mi sostenevano per loro interesse quando ero “di moda”; in seguito perché non voglio più tornare ad accettare compromessi e a creare il prodotto. Non ho mai sedotto nessuno, nemmeno quando sarebbe stato facile creare rapporti di amicizie importanti che oggi darebbero i frutti. Non è il mio carattere. Io mi sento un artigiano della musica, un indipendente che lavora ogni giorno e, come mi ha insegnato mio padre, il sacrificio e il lavoro ripagano sempre, nonostante tutto.

In questo periodo di assenza dal mercato discografico italiano a cosa si è dedicato?

Alla crescita di mio figlio, al formare una famiglia. Mi sono sposato e ho creato un’accademia, la PopMusicSchool, di cui sono direttore artistico, che dopo cinque anni conta 600 iscritti e che è già un punto di riferimento solido per il canto, la musica, la danza e la recitazione. Una specie di “Fame” con insegnamento classico.

Mentre ora, in questo tempo “sospeso”, oltre la musica in che modo riempie le sue giornate?

Dedicandomi a seguire le lezioni online dei nostri insegnanti e cercando di dedicare tempo a mio figlio Leonardo.

Come l’ha cambiata la paternità?

La paternità mi ha fatto capire che i giovani sono il nostro futuro. Ho proprio fatto uno Switch mentale in cui voglio dedicarmi a mio figlio, e ai ragazzi della mia accademia.

Quali sono i valori per lei più importanti che si impegnerà a trasmettere a suo figlio?

L’autenticità. Cercherò di educarlo a non crearsi mai una forma diversa da quella che è. Nasciamo puri, dobbiamo evitare che nascano blocchi o se nascono dobbiamo cercare di abbatterli subito. Non sarà facile, perché non posiamo essere anarchici ma dobbiamo bilanciare rispetto e autenticità. 

Dei suoi inizi musicali cosa non dimenticherà mai?

Non dimenticherò mai le urla dei fans che ancora oggi risuonano nelle mie orecchie. Urla di strazio, amore e passione che mi sono entrate nel cuore e che danno alimento ancora oggi a questa passione. Soprattutto per trasmettere ai giovani talenti che le persone vivono con le note delle tue canzoni, e per alcuni significano tutto.

Qual è stato il suo modello di riferimento nella musica?

Non ci sono dei modelli. Io credo nell’ unicità. Quello che ripeto sempre ai ragazzi. Se volete vendere e durare cercate di essere unici in qualche modo, soprattutto per il mercato di riferimento e la lingua che si propone. Justin Bieber esiste, ma uno di quel genere in Italiano no, questo è già un piccolo passo di unicità. Il top sarebbe essere unici a livello mondiale ma più alta è la difficoltà e la concorrenza, più difficile sarà il risultato di unicità. Anche la musica può essere matematica se ci si riferisce ad un prodotto artistico ma commerciale. Se invece si punta solo all’essenza dell’arte musica, l’aspetto commerciale non dovrebbe interessare all’ artista stesso. Sono due punti di vista entrambi rispettabili. Io ero più vicino al primo all’inizio della mia carriera, adesso più vicino all’eremita che fa musica fine a se stessa e se piace bene, se non piace il senso è basta che piace a me.

Lo ricorda un episodio off dei suoi esordi?

Era tutto off. Un successo indescrivibile, ero priorità Warner Music mondiale. Questo è già assurdo solo a pensarci. Una volta mi arrivò un fax da Warner Miami. C’era scritto “priorità mondiali 1998 Paolo Meneguzzi e Madonna”. Se questo non è off.

Nei tempi del suo massimo successo ha mai temuto di montarsi la testa o che il successo potesse cambiarla?

Definitivamente il successo mi ha cambiato. Ho adeguato la mia vita, il mio essere, a quello che richiedeva il mio lavoro e la mia musica. Ero una macchina discografica che prendeva 2/3 aerei al giorno, che parlava 5 lingue, dormivo a mezz’ore e viaggiavo in prima classe a 18 anni. Non ti rendi conto di cambiare, ma è automatico che si cambia, e ci si adegua al percorso.

Ci sono state delle fan che hanno fatto pazzie per lei?

Il fatto di essere fan-atica è già una pazzia di per sé, un’ossessione, una ragione di esistenza, una mania. Ogni fan dedica davvero la propria esistenza al suo idolo. Ne ho avute tantissime folli e geniali. Quelle che avranno visto più di 200 concerti, quelle che mi fanno regali dei più assurdi, quelle che ancora oggi sono convinte che io sia il loro uomo e fanno le gelose, quelle dolci, quelle che mi fanno proposte sessuali. Mi ricordo quando invasero l’aeroporto di Santiago e fermarono l’aereo in pista. Erano migliaia e avevano superato i posti di polizia rischiando davvero la propria incolumità.

Scelga i due momenti più emozionanti della sua carriera.

Posso dire il mio matrimonio e la nascita di mio figlio? Sono le creazioni a cui do più senso di esistenza.

C’è invece una delusione che fatica ad accettare?

Non si ama mai abbastanza. Il cuore dovrebbe avere braccia immense per amare molto di più il prossimo e per far felici più persone in una volta sola. Perciò mi sento di non aver amato abbastanza. Rimane sempre qualche vuoto.

In questa carriera ormai ventennale ce l’ha un sogno ancora da realizzare?

Il mio sogno è veder mio figlio felice e con tempi così difficili dovremo trasmettergli e dovrà avere molto coraggio.