Negli ultimi decenni l’attenzione per l’uso razionale e responsabile delle risorse naturali e ambientali si è accentuata, sotto la spinta del modello globale dello «sviluppo sostenibile», che dovrebbe garantire un rapporto equilibrato tra le risorse da consumare e quelle da trasmettere alle generazioni venture. Eppure, un tale paradigma appare compromesso sia da un approccio mercantilistico, che non attribuisce il giusto peso ai profili non patrimoniali, sia dall’ambiguità del termine «sviluppo sostenibile», che sottintende l’individuazione dei bisogni delle generazioni future con il metro di giudizio delle generazioni presenti e sconta tensioni antinomiche, poiché pone un limite di sostenibilità allo sviluppo, che richiede, per essere un vincolo effettivo, la gestione di una quantità infinita di dati e informazioni sui modi e gli effetti di ogni attività economica. Non sorprende quindi se, tramontata la fase oppositiva, che considerava l’interesse ambientale in contrasto insanabile con l’interesse allo sviluppo, l’approccio più sensibile alla gravità estrema della crisi ecologica tenda a superare anche la concezione dello sviluppo sostenibile, che mira ad armonizzare le esigenze ambientali con quelle dello sviluppo, ma in termini di reciproca compatibilità. Occorre invece guardare all’ambiente come possibile fattore di sviluppo, che assicura rilevanza anche economica ad attività che non hanno incidenza negativa sull’ambiente e anzi contribuiscono al miglioramento della sua qualità (in osservanza degli articoli 3, comma 3, del Trattato sull’Unione europea e 3-quater, comma 3, del Codice dell’ambiente). Una svolta (o conversione) ecologica, che segna l’inizio di una terza fase, nella quale, come già si legge nell’Enciclica «Laudato si’», l’ambiente può avere un effetto propulsivo per un diverso tipo di sviluppo, basato sulla centralità degli esseri umani e della loro “Madre Natura”. L’analisi giuridica mostra che questo processo è già in atto, con conseguenze rilevanti nelle organizzazioni amministrative e nelle attività negoziali pubbliche e private, sempre più ecologicamente conformate, e con una diversa concezione del consumo e del mercato, come testimonia l’esperienza degli “appalti verdi” e più in generale dei “contratti ecologici”, nei quali l’interesse ambientale connota la causa (o funzione «ecologico-sociale») del contratto e segna la transizione verso un’economia circolare, equa e solidale. Questi temi e problemi saranno discussi a Perugia il 19 febbraio 2020, nel Convegno internazionale «L’ambiente per lo sviluppo. Profili giuridici ed economici», organizzato dal Prof. Giampaolo Rossi presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Perugia, in occasione del decennale della «Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente». Il focus del Convegno sarà nella critica del concetto di sviluppo sostenibile, inteso in negativo come crescita economica semplicemente compatibile con la tutela dell’ambiente, cui si contrappone, in positivo, l’idea dell’«ambiente per lo sviluppo», che esige il primato dell’ambiente, quale fattore trainante (anziché mero limite) di uno sviluppo economico ed ecologico, nel segno di una ritrovata radice comune: la «casa» (letteralmente, oikos) nella quale l’uomo è ricompreso.
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