Paolo Corsini: “I motti di d’Annunzio sarebbero stati trend topic di Twitter”

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Paolo Corsini, giornalista Rai, consigliere nazionale dell’Ordine Dei Giornalisti con una lunga esperienza sindacale, è il presidente di Lettera 22

Paolo Corsini, 51 anni, giornalista Rai, consigliere nazionale dell’Ordine Dei Giornalisti con una lunga esperienza sindacale, è il presidente di Lettera 22, “un’associazione che riunisce oltre 400 giornalisti impegnati nella lotta contro il politicamente corretto, le fake news e il pensiero unico”.

Quando nasce Lettera 22?

Oltre 10 anni fa. Sentivamo il bisogno di un luogo dove poterci confrontare tra giornalisti che non si riconoscevano nei luoghi comuni del mainstream.

Quali sono state le vostre principali battaglie?

Tantissime: da quelle per il diritto di cronaca a quelle contro l’uso improprio delle intercettazioni e l’omologazione dell’informazione a livello di contenuti e linguaggi, allorché furono predisposte alcune carte deontologiche, la cui ispirazione, dettata da principi sani, tendeva purtroppo a una prassi da Minculpop.

Secondo te il giornalismo è finito?

Il giornalismo, come ho avuto la fortuna di praticarlo io, è purtroppo sul viale del tramonto. C’è innanzitutto un problema salariale, ma c’è anche altro: oggi il pubblico ha accesso immediato a un’immensa quantità di notizie grazie al web e questo impone un rinnovamento. Il giornalista del futuro dovrà essere una figura dotata di elevate competenze, che lo mettano in condizione di selezionare e certificare la massa di informazioni disponibili da sottoporre all’attenzione del pubblico: potrebbe essere la nuova funzione civile di un giornalismo altamente professionalizzato.

Ti preoccupa l’avvento di una “dittatura dell’algoritmo” imposta dal web?

Non so se parlare di “dittatura dell’algoritmo” sia corretto. Esso è innanzitutto uno strumento per veicolare le notizie. E’ compito del giornalista acquisire le competenze per governarlo.

Cosa si può fare per tutelare il diritto d’autore?

Costruire un quadro di regole condivise a livello europeo e globale, con accordi tra gli Stati da una parte e le grandi corporation dall’altra, che sono la principale minaccia al diritto d’autore.

Ritieni che l’egemonia della sinistra sia ancora forte nel sistema dell’informazione?

Direi di sì e riguarda tanto gli apparati quanto i linguaggi e i contenuti. Oggi si è in parte rotta grazie al web, ma resiste nei media tradizionali, che infatti, salvo alcune eccezioni, si caratterizzano per l’autoreferenzialità e la scarsa capacità di leggere i mutamenti del presente.

L’impegno sindacale ti ha pregiudicato delle opportunità?

Forse sì, ma, nel complesso ritengo che l’impegno paghi ancora, sebbene l’abbia condotto sempre dall’opposizione, in un sindacato unico (un’anomalia nel panorama italiano) che spesso preferisce fare politica piuttosto che rivendicazioni contrattuali. I bilanci, però, si fanno alla fine, e, come diceva Pound, “se un uomo non è disposto a correre dei rischi per le sue idee…”

Sul numero di CulturaIdentità di questo mese parli del rapporto tra d’Annunzio e i mass-media. Il Vate fu un antesignano in questo ambito?

Sì. Peccato che ai suoi tempi non esistesse Twitter: i suoi motti e giochi di parole sarebbero figurati tra i trend topic. Fu un genio: capì il potenziale pubblicitario e propagandistico rappresentato dai giornali, dal teatro e dalla nuova arte cinematografica e seppe sfruttarlo con lucidità e una punta di cinismo.

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1 commento

  1. Mai scontato , non conosce il termine banale. Difficile trovare oggi una persona che ragioni con la propria testa, senza condizionamenti. Bravo Barbareschi. Una gran bella intervista. Spero che la legga anche Ruffini. Ne ha di cose d imparare!

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