Leggendo l’ultimo romanzo del giallista Fabrizio Carcano, Milano Assassina (Mursia, 2019, 304 pagine, 18,00 €), il lettore viene immerso in due Milano diverse: una è quella del dicembre 2018, e l’altra è quella dei primi anni ottanta, quando le strade del capoluogo lombardo erano insanguinate dalla guerra tra fazioni politiche opposte.
Il romanzo, come quasi tutti i precedenti di Carcano, ha per protagonista il capo della Sezione Omicidi della Questura di Milano Bruno Ardigò il quale, in un periodo in cui le sedi dei partiti di destra vengono fatte esplodere dagli antagonisti, deve indagare sull’omicidio di un ex-terrorista di estrema sinistra. Ciò costringerà Ardigò a scavare in un capitolo buio della storia milanese, e a riscoprire un clima di odio che si credeva scomparso per sempre.
Nel corso del romanzo le zone di Milano in cui si svolge la vicenda vengono descritte nei minimi dettagli, permettendo soprattutto ai lettori milanesi di immaginare i fatti narrati. Un altro elemento descritto con cura è quello dei giornali, e il modo in cui riportano i fatti di cronaca nera: ciò è dovuto al fatto che l’autore è egli stesso un giornalista che scrive su testate locali meneghine e bergamasche, oltre ad essere stato portavoce di Roberto Calderoli.
Quello di Ardigò è un personaggio a tutto tondo: non è solo un poliziotto che fa il suo dovere, ma è anche un uomo che vive in solitudine tormentato dai fantasmi del suo passato. Ha un amante con cui però si lascia solo trasportare dalla passione senza riuscire ad instaurare una relazione seria, perché a forza di vedere morti ogni giorno fa fatica a stare in mezzo ai vivi.
Nonostante questo sia il suo decimo romanzo giallo, questa è la prima volta in cui Carcano non scrive una storia incentrata su sette sataniche o con un taglio esoterico, ma nonostante ciò è forse tra le migliori opere di quello che dopo il suo primo romanzo, Gli angeli di Lucifero, è stato soprannominato “il Dan Brown milanese”.