Karl Christ ci dice che, a partire da Cicerone, a Roma si era diffusa una corrente di pensiero tesa a estendere il dominio dell’Urbe su tutto il mondo conosciuto, o meglio, a quella sfera di territori all’interno dei quali albergava un’umanità civilizzata. A ben vedere, i condottieri romani giunsero davvero agli estremi confini della Terra: Pompeo sul Mar Caspio e Cesare in Britannia, sino a quando Augusto non decise di limitare queste azioni di espansione militare su larga scala, preferendo una politica di difesa dei confini con la creazione del limes.
Secondo Edward N. Luttwak, il controllo dei territori dell’Impero si realizzava sia attraverso metodi brutali come la deportazione delle popolazioni ostili, sia mediante una sottile diplomazia coercitiva (si pensi per esempio alla designazione di sovrani clienti).
Questo periodo storico deve aver affascinato anche Giorgio Smojver (nato a Padova da esuli giuliani, appassionato di mitologia comparata e letteratura medievale, che ha recentemente pubblicato Le aquile e l’abisso (Watson, Roma, 2019, 266 pagine, 14,25 euro), romanzo di sword and sorcery, o di fantasia eroica mediterranea, in cui ci conduce nell’Impero romano dell’epoca di Vespasiano, nel bel mezzo delle invasioni degli Alani.
Il protagonista della vicenda è Casperio, un centurione veterano possessore della leggendaria lancia di Longino, a cui Marco Ulpio Traiano affida una flotta di navi allo scopo di debellare la pirateria nelle province orientali. Come se non bastasse il pericolo dei razziatori a rendere difficoltosa la missione, durante gli scontri armati si manifestano demoni repellenti e geni evocati da alcuni accoliti che hanno offerto la loro anima in olocausto a divinità blasfeme – avversari ultraterreni che comunque vengono affrontati con valore dai legionari romani. I rituali stregoneschi attraverso cui queste creature vengono fatte riemergere dagli abissi infernali sono descritti con una minuziosa diligenza che denota un accurato studio dei testi di esoterismo e di storia delle religioni.
Peraltro l’Autore fa sfoggio anche della sua preparazione in fatto di mitologia comparata, presentandoci una cosmogonia coerente: «Prima dell’Uomo e dei suoi Dèi, i Primigeni viaggiavano tra gli astri su montagne di ferro e fuoco. Molte caddero sulla Terra, facendo evaporare i mari, sorgere montagne, aprirsi abissi. I Primigeni regnarono sulla Terra e sul Mare, adorati dalle razze antiche. Essi nuotavano immersi nei propri sogni, certi del loro potere e della loro immortalità, e abbassarono la guardia: i giovani Dèi Olimpi li assalirono a tradimento, relegandoli in luoghi remoti, sotto le montagne o nelle profondità infeconde del mare, dove dormono un sonno simile alla morte. Ma i loro figli vivono e ne preparano il ritorno. Alcuni Primigeni sono già desti, e ai mortali loro seguaci fanno grandi doni.»
Con Le aquile e l’abisso, il mito della Roma Caput Mundi torna ad affacciarsi di prepotenza sul panorama della narrativa dell’immaginario, dimostrando ancora una volta che la suggestione della Roma Eterna, culla della civiltà occidentale e modello giuridico per ogni stato moderno, è impressa con il fuoco nella coscienza collettiva dell’uomo.