Ferdinando Scianna: “Niente salverà il mondo, basta la vita…”

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Ferdinando Scianna:
Marpessa.-Caltagirone-1987-ph.-F.-Scianna

Fino al 28 luglio la Galleria d’Arte Moderna di Palermo ospita Ferdinando Scianna. Viaggio Racconto Memoria, antologica del maestro bagherese curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda. Con oltre 180 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la mostra attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo.

Tommaso Giglio ammonisce: “Poi nessuno saprà di noi, di tutti, e l’orma nostra sarà un altro vento sulla polvere, o un grido, o questo schianto del mare che rovina sulle pietre.”

Così come Ferdinando ci racconta: “Ogni tanto, nel chiedere a qualcuno di lasciarsi fotografare gli si dice: Vieni che ti immortalo. Ti immortalo! Tanto arrogante a volte si fa il linguaggio per esorcizzare l’angoscia della nostra impermanenza. Eppure, c’è in questa iperbole un residuo di quel mito faustiano che gli uomini, da quando hanno cominciato ad avere coscienza di sé, e quindi del tempo, insensatamente perseguono. Fermate il tempo, non fosse che per un istante.”

Non è questa la questione tutta? Un recondito desiderio di restare anche combattendo contro l’impossibile? Cosa resterà di noi dopo quel tuffo nel mondo? Un ricordo, un sussulto, una nuvola in cielo, il sale che si alza dal mare, un sorriso disegnato sul volto di chi resta per un po’. Ecco la magia della fotografia, rendere “per sempre” ciò che è un battito d’ali.

Ferdinando Scianna è uno dei maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Poi i reportage (fa parte dell’agenzia foto giornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi grandi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni. La vicenda professionale di Ferdinando Scianna (Bagheria, 1943) sembra di quelle dove è difficile scindere leggenda e realtà. Il suo percorso è tutto reale e racchiuso in cinquant’anni di lavoro. Ancora studente incontra Leonardo Sciascia e con lui, a 21 anni, pubblica il suo primo libro, Feste religiose a Palermo, con cui vince subito il Premio Nadar. Nel 1967 si trasferisce a Milano, dove inizia la carriera di fotoreporter. Da qui si sposta a Parigi, dove nel 1982 Henri Cartier-Bresson lo introduce all’agenzia Magnum. Henri Cartier-Bresson, diceva che aveva un occhio da pittore. Lui gli rispondeva che, piuttosto, riconosceva di essere, o di voler essere, uno strabico con un occhio attento alla fotografia e l’altro alla letteratura.

Ferdinando Scianna: "Niente salverà il mondo. C’è la vita e penso che basti..."
New-York-1985-ph.-F.-Scianna

Il suo primo ricordo legato alla scatola magica. Un aneddoto.

Nella piazzetta del mio quartiere c’era il negozio di un fotografo. Un mio compagno di giochi vi era stato messo a lavorare. Ogni tanto mi faceva entrare in camera oscura. Una magia: chimica e alchimia. Una rivelazione.

La fotografia ieri, la fotografia oggi e come sarà la fotografia domani?

Siamo ancora in piena rivoluzione, grazie alla tecnologia, nel mondo dell’immagine fotografica. Si fanno ogni giorno (ogni giorno!) più fotografie che nei precedenti centocinquanta anni. Uno tsunami. Questo ne cambia continuamente il senso. Nessuno sa che cosa succederà tra cinque anni, ancora meno nei prossimi 20. Quelli della mia generazione, forse, meno degli altri. All’inizio ero sgomento e indignato. Ora mi limito a riconoscere la mia lontananza, se non estraneità. Cambia il senso delle parole: forse continuiamo a chiamare fotografie qualcosa che poco ha a che fare con la pratica che era la nostra. Come chiamiamo aceto balsamico un liquido da supermercato che niente ha a che fare con l’aceto balsamico della tradizione. Adesso ringrazio la sorte di avermi fatto vivere un’epoca in cui con quel linguaggio ho potuto tentare di raccontare il mondo e me stesso.

Nel suo magnifico libro: “Visti e scritti” afferma più volte che la fotografia è immortalare. Questo verbo in fondo non è altro che un residuo del mito faustiano, la ricerca di fermare il tempo anche per un istante. Quindi le pesa questo potere?

Ho chiamato la mia ultima mostra antologica Memoria, viaggio racconto. Tre sinonimi di fotografia. Ma ho scritto e penso che nessun linguaggio immortali nulla. La fotografia costruisce memoria, questo sì. O, almeno, ha tentato di farlo. Se la memoria avrà un futuro, diceva Leonardo Sciascia. Questo effimero ruolo non mi pesa, mi esalta.

Ferdinando Scianna: "Niente salverà il mondo. C’è la vita e penso che basti..."
Ferdinando Scianna accanto a una delle foto in mostra a Palermo

L’idea del tempo per lei e nella sua fotografia.

La fotografia gioca sullo spazio delle immagini, ma anche sul tempo. E’ stata questa la sua formidabile novità . Ogni fotografia è traccia di un istante di tempo.

Mi ha colpito moltissimo la frase di suo padre sui fotografi:” uno che ammazza i vivi e risuscita i morti”.

Lui parlava di un fotografo del mio paese che quando qualche vecchio moriva senza che si fosse mai fatto fotografare gli ritoccava gli occhi e orgogliosamente esclamava: Non pare vivo? In un certo senso, si illudeva di risuscitare i morti. Grande, disperata definizione per la fotografia.

Reportage e racconto, da una parte c’è la fotografia e dall’altra la parola. Com’è la convivenza tra queste due forme espressive?

Ogni fotografia, proprio in quanto traccia di qualcosa che è stato vivo, reale, contiene parole, quelle di chi l’ha scattata, quello di chi la guarda, quelle della realtà che l’ha prodotta. I testi e le fotografie sono strettamente legati. La fotografia in questo senso ha più a che fare con la letteratura che con la pittura.

Ha rivoluzionato la fotografia di moda col suo magnifico reportage di moda realizzato per la celebre maison “Dolce e Gabbana”. A volte si dice che le rivoluzioni e le scoperte sono frutto del caso. Per lei?

Nulla tra le foto che ho fatto-trovato nella mia vita ha paradossalmente più a che fare con il caso che le mie foto di moda. Non sono così arrogante da credere di essere all’origine di una rivoluzione. Siamo tutti figli di lunghe e complesse storie. Credo che la vera novità consista nell’avere strettamente connesso la fotografia di moda con la mia necessità di racconto.

Il suo reportage porta lo sguardo verso la vita, una vita anche difficile con le sue infinite sfumature: ombre e luci sospese in una realtà tanto vera da apparire irreale. Questo è il suo modo di vedere le cose?

Un grande fotografo affermava che se scema l’amore per la vita diminuisce la qualità delle fotografie. Se si fanno fotografie per potente amore per la vita, la vita ti regalerà buone fotografie.

Ferdinando Scianna: "Niente salverà il mondo. C’è la vita e penso che basti..."
Celia-Forner.-Sevilla-1988-ph.-F.-Scianna

Ha viaggiato moltissimo, ha lasciato il luogo delle sue origini, delle sue radici per migrare. Se dovessimo parlare di identità, se ne esiste una, quale sarebbe?

Viaggio, ecco l’altro sinonimo, è pratica consustanziale ai fotografi come me. Le fotografie si cercano. A volte, raramente, le trovi in luoghi lontani o lontanissimi, ma spesso anche sotto casa, se non dentro casa, addirittura. Il mondo lo guardi a partire dall’identità che ti ha costruito nell’infanzia e prima giovinezza, alla quale aggiungi l’arricchimento dell’esperienza.

Il suo rapporto con Dio.

Sono stato educato, come tutti, in un contesto culturale cattolico, non cristiano. Poi me ne sono allontanato. Ma l’imprinting non credo che scompaia mai completamente. Aveva ragione Croce: non possiamo non dirci cristiani. Lo spettacolo del mondo, soprattutto quello che si è offerto in oltre mezzo secolo al mio sguardo onnivoro di fotografo, è meraviglioso e terribile. Spesso penso che avrei più cose di cui chiedere conto a Dio, che Dio alla fragile natura degli uomini e della mia.

Si dice in modo meccanico che la bellezza salverà il mondo. La fotografia cosa potrebbe fare per il mondo?

Niente salverà il mondo. C’è la vita. E penso che basti.