“Il mio amore per Ungaretti arderà in eterno”

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Galeotto fu quel passaggio in macchina, diremmo. Enrica Bonaccorti ai microfoni di I Lunatici ha ieri aperto il cassetto dei ricordi e, fra i tanti aneddoti, ha raccontato anche quella volta in cui conobbe Giuseppe Ungaretti. Un incontro un po’ shock: “Ungaretti mi molestò? Beh, insomma, adesso le chiameremmo molestie. Ungaretti mi ha dato una carezza sulle gambe, mentre guidavo. Io stavo svenendo, pensavo fosse un film. Avevo 18 anni. Per me era come pensare a Leopardi che ti dà un pizzicotto sul sedere“.

Ungaretti amava il gentil sesso senza ombra di dubbio, forse in particolar modo quello non troppo agè. Un incontro impetuoso, quello con Enrica Bonaccorti nel 1967: ma un anno prima, nell’estate del ’66, conobbe una giovane poetessa, Bruna Bianco, con cui intrattenne una corrispondenza epistolare, prolungatasi nel corso del tempo, fatta di travolgente passione. 400 lettere di amore infuocato con l’allora quasi ottantenne poeta, pubblicate lo scorso anno e di cui noi di OFF vi demmo notizia con l’intervista alla giovane passione del venerando poeta. Ah l’amour! (Redazione)

Nell’estate del 1966 Giuseppe Ungaretti si trova in Brasile, dove ha abitato a lungo, per una serie di conferenze. Alla fine di una di esse una giovane Bruna Bianco gli si avvicina e gli consegna alcune sue poesie: nasce così una relazione attraverso un fittissimo scambio epistolare. Le quasi 400 lettere gelosamente custodite per cinquant’anni dalla destinataria raccontano la cronaca quotidiana di un amore impetuoso e travolgente, che dà inizio a una nuova stagione creativa per il poeta, il quale nelle lettere si firma “Ungà”. OFF presenta una “conversazione d’autore” tra la scrittrice Dora Albanese e Bruna Bianco (Redazione)

Una spina mi ha punto,
delle tue rose rosse,
perché succhiassi al dito
come già tuo il mio sangue.

 
Bruna, lei è la donna che Ungaretti definisce in circa 400 lettere “mio amore, mia poesia mia luce”, ci dica: come è stato l’amore con “Unà”?

E’stato luce illuminante, fulminante e così ardente fisicamente che porto ancora oggi la fiamma di una passione vera, costante, che da allora  ad oggi dà impulso a tutto quello che faccio, con gioia immensa di vita e sicurezza di raggiungere gli obbiettivi proposti.

Cosa l’ha convinta a pubblicare la sua corrispondenza con Ungaretti?

L’avevo mantenuta in segreto, custodita in una cassapanca. Era la mia grande ricchezza, era tutto il mio patrimonio e apparteneva solo a me. Dopo la sua morte dovevo ritornare alla vita normale:  varie volte desiderai rileggere e poi bruciare tutto. Perché? Perché credevo che le persone non avrebbero capito la forza e la verità del nostro amore e questo atto di rifiutare a crederlo, dovuto alle radici profonde e orrende dei pregiudizi, mi offendeva profondamente. Poi, dopo cinquant’ anni,  hanno vinto le richieste di molte persone amiche  e con l’insistenza di Francesca Cricelli accettai di pubblicare. Rileggendo le lettere ho scoperto che, in realtà, io ero stata uno strumento di “Ungà”, perché i messaggi di gioia di vivere, forza di vivere, credere in te stesso, furono scritti per tutti, per tutti quelli che avessero avuto la fortuna di leggere le sue lettere. L’ardore del suo inchiostro verde, che in ogni sillaba scaturisce in una speranza di certezza di vita vera.

Ha mai desiderato portare il suo cognome?

Sì, certamente. Desideravamo sposarci. Il pittore scultore Nini Santono aveva ricevuto le misure dei nostri anulari e preparato le vere.“Ungà” aveva bisogno di legarmi a lui ufficialmente. Fremeva per  un legame familiare, che ci unisse ancora di più.

A chi parlava Ungaretti con la sua poesia?

All’universo.

Il poeta amava condividere la poesia con i giovani. cosa sperava?

“Ungà” amava i giovani ed era da loro molto ammirato. Quando declamò  i canti dell’Odissea da lui tradotti direttamente dal greco – assieme a me –, era riconosciuto per strada ed i giovanetti correvano e lo abbracciavano alle gambe; uno, mi rammento, si chinò per allacciargli una stringa.

Era poi professore universitario. Dei giovani non parlava di ciò che da loro potesse sperare; unicamente li difendeva quando reclamavano che il governo non aveva concretizzato un programma, promesso, di aumento di università e li incoraggiava ad avere forza per affrontare il domani.

Come nasce “Dialogo”?

Fu una forma di “Ungà” di insegnarmi a fare poesia. Ci scambiavamo le poesie e poi, reciprocamente, le ritoccavamo. Così  nasce il libro.

Bruna, alcuni suoi versi hanno il ritmo dell’urgenza e anche dell’attesa…sbaglio?

Certamente. Io dominavo la lingua portoghese e balbettavo l’italiano, quindi il montaggio delle mie frasi aveva una presenza sonora diversa rispetto a quelle di “Ungà”.

Lei era la donna di Ungaretti – ma era anche la musa, l’allieva e la maestra, era l’amante ma era sopratutto la ritrovata poesia. La vita che dava la vita. Il vostro era più un amore contemplativo oppure anche fisico e passionale?

Sì, ero tutte queste presenze. devo però sottolineare che quando cercai “Ungà” per dargli alcune mie poesie per ottenerne il suo responso, credevo che Ungaretti fosse un poeta e professore universitario. Nel 1966 in Brasile si viveva una dittatura militare, le frontiere al libero commercio erano chiuse e viaggiare all’estero era molto complesso. Mi sentivo in esilio. Allora quando lo cercai e gli diedi le mie poesie parlammo per un’ora. Lui mi invitò a colazione, ma io vinta dal disagio non accettai e, su richiesta, gli diedi il mio numero di telefono (allora era un miracolo avere una linea telefonica). Quando m’accompagnò all’ingresso dell’albergo, dove ero andata a cercarlo, mi allacciò la cintura con le sue braccia. Io sentii svettare tutto il mio corpo come mai avevo sentito. “Ungà” percepì questo fremito e a riguardo poi mi scrisse che fu questo mio convulso spasimo che gli fece prendere la decisione di cercarmi.

Mi aveva informata che sarebbe andato a Rio per una decina di giorni per incontrare i suoi amici poeti, Vinícius  de Moraes e altri. Invece anticipò il suo rientro da Rio e mi cercò immediatamente. Corsi all’hotel dove era sceso e quando ci abbracciammo sentimmo che la passione reciproca ci aveva incendiato. Restammo assieme appiccicati per dieci giorni e poi il laccio ci imprigionò per sempre.

All’epoca non mi mancavano i “fidanzatini brasiliani”, li avevo attorno come dei mosconi… i brasiliani sono molto focosi, la ragione è genetica…un giorno vi racconterò della necessità di editare in tutta l’isola iberica, già nel lontano 1496, regole per disciplinare l’atto d’amore, limitandolo (norme contenute nel “Livro V das Ordenações Filipinas”).

Siccome “Ungà” ed io eravamo tra le persone che riuscivano e far palpitare tutti i sensi allo stesso tempo, non incontrammo difficoltà a fare l’amore con tutto il nostro essere ed entusiamo…tutto il nostro corpo tremava e ardeva sempre. E, quando la distanza ci separava, “Ungà” conosceva l’arte di  mantenere il mio pensiero in lui tutte le 24 ore. Era in questo un vero “premio nobel”. Non ci fu persona, escludendo il vincolo “sanguinis”, che mi facesse sentire amata tanto e tutto il giorno e la notte nel tempo. Poteva una donna desiderare di più? Solo nel 1967 e nel 1968 ho scoperto quale grande e famoso poeta fosse.

Lei era gelosa delle donne che circondavano Ungaretti?

Sì e viceversa, moltissimo. Ho storie di gelosia da parte di “Ungà” strabilianti da raccontarvi.

Bruna, lei oltre ad essere un eccellente avvocato ha continuato anche a fare  poesia?

Sì, quando mi tocca l’emozione.

Il linguaggio moderno, la velocità dei rapporti sentimentali di oggi e il cinismo imperante con il quale i ragazzi vivono l’amore cosa le fanno pensare?

A questo riguardo mi permetto di confessare una mia esperienza personale al mio ritorno in Italia. Ho constatato un imbarbarimento del linguaggio e delle consuetudini dei rapporti tra le persone. Mi sono modestamente chiesta la ragione di questo. Così lontana dai miei ricordi. Certamente manca l’insegnamento ai giovani alla gentilezza, alla poesia. Certamente nella poesia e nelle parole di Ungaretti in questo libro, come certamente in altri poeti, può scaturire l’esortazione forte e convinta della forza di vivere con allegria, rafforzando il sentimento di amore vero e continuo. Questo può essere l’ incantesimo della poesia. Perché non incominciare? Invece delle droghe care e malefiche, perché non riprendiamo la via del canto della poesia?

Ungaretti in una lettera le fa notare che utilizza il verbo tornare in maniera errata. ecco oggi cosa è tornare per lei? Tornare su questo amore, e tornare a parlarne in Italia?

In Italia è  la prima volta che ne parlo. Vorrei che i poeti d’oggi, poeti anche come lei, già carissima, Dora Albanese, mi aiutaste affinché gli italiani riscoprissero la vita vera nell’amore vero. Sento l’italiano infastidito. C’è un miagolio profondo, un’insoddisfazione, una melanconia malata. Infine la vita è unica ed è sempre troppo corta, perché dimenticano questo?

Oggi che ruolo ha la poesia nella società italiana?

Spero che  rileggere poesia risvegli nell’italiano la gentilezza che anni fa era il suo primo comandamento di vita.

Quando finisce la sua storia d’amore con Ungaretti?

Non finisce. Arderà per l’eterno.

Lo sogna?

Raramente. A luglio di quest’anno lo sognai a lungo ed il sogno mi sconvolse e lo raccontai a Silvio Ramat e a sua moglie Gianna. Mi diedero una spiegazione sensibile.

E’una donna felice?

Sì, senza esitazione. Dentro di me da sempre c’è “Ungà” , che mi tutela e mi dà una forza di vivere intensa per vincere ogni ostacolo. Come non essere felice dopo l’augurio costante di felicità trasmesso come augurio sacro e dogmatico da un poeta?

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