La letteratura sportiva in Italia…eppur si muove

0
La letteratura sportiva in Italia...eppur si muove
Umberto Boccioni, Dynamism of a Soccer Player, 1913, oil on canvas, 193.2 x 201 cm (6' 4 1/8" x 6' 7 1/8"). The Sidney and Harriet Janis Collection, Museum of Modern Art, New York - Umberto Boccioni [Public domain], via Wikimedia Commons

Sarà perché lo sport in Italia è letteralmente snobbato dagli intellettuali, sarà perché la nostra non è una cultura competitiva come quella degli Stati Uniti, fatto sta che nel nostro Paese e generalmente in Europa la letteratura sportiva è veramente sottovalutata.

Se pensiamo alla cultura americana, sono tantissimi i titoli letterari e cinematografici che ci vengono in mente a riguardo (che poi non sono di secondo piano, ma di primissimo), come per esempio The natural, il romanzo di Malamud dal quale è stata tratta l’immortale pellicola Il migliore con Robert Redford. Pensiamo alla serie di Rocky o a romanzi quali Livelli di gioco di McPhee sul tennis, oppure ancora a Shoeless Joe di Kinsella – come Il migliore, sul baseball – dal quale è venuto alla luce il film L’uomo dei sogni.

La lista delle opere d’ingegno sullo sport in territorio americano potrebbe andare avanti ancora per molto, mentre purtroppo in Italia non è così lunga. Vi sono grandi autori di letteratura sportiva, sopra a tutti Gianni Clerici, ma certo i suoi romanzi sono più conosciuti agli appassionati del settore che ai generici amanti della letteratura, anche se va detto che il suo 500 anni di tennis è tra i volumi più venduti e tradotti al mondo – Clerici che in un’intervista mi confidò di essersi sentito un fallito, al pari di Gianni Brera, perché entrambi si muovevano su un piano ritenuto di seconda scelta. Vi sono poi altri scrittori e intellettuali che si muovono bene su questo territorio tortuoso, come Mario Sconcerti, Giuseppe Manfridi, Federico Buffa, come del resto Riccardo Lorenzetti, che pone come sfondo dei suoi romanzi, uno su tutti L’amore ai tempi di Mourinho, ambientazioni calcistiche.

Tornando all’inizio, credo proprio di sì. Credo a malincuore che nel nostro Paese lo sport non abbia spazio in quella cultura ritenuta “alta”: se si tolgono pochissimi casi, esso è stato relegato al ruolo di fanalino di coda.

In realtà questo è profondamente sbagliato, perché lo sport è capace di raccontare la vita e della vita è sicuramente una significativa metafora, là dove vi è la possibilità di parlare dell’individualità del singolo come del resto dell’importanza dell’aggregazione. Gli americani l’hanno capito bene, non noi, ma chissà che nel futuro qualche cosa si smuova e che anche la nostra cultura – profondamente sportiva, se lo sport l’abbiamo continuamente negli schermi dei televisori – possa comprenderne il valore artistico e non soltanto quello di mero intrattenimento e di macchina da business.