Sylos Labini: “Il 4 novembre i ministri leggano in dialetto una lettera dalle trincee”

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Sarete a conoscenza del video promozionale del Ministero della Difesa  per celebrare le Forze armate il 4 novembre, 100 anni dopo la vittoria nella Grande Guerra e cestinato da Palazzo Chigi e dal Ministro Trenta perché “troppo combat”.

Da parte del Governo è l’idea che i militari debbano essere sempre e comunque impiegati per operazioni di peace-keeping, di intelligence, di “assistenza potenziata” senza dare troppo nell’occhio con le armi, il dolore, la paura, la fatica, lo sporco e il sangue che essi devono affrontare sugli scenari di guerra nei quali anche l’Italia è impegnata. Perché, sì, anche la guerra è sangue e merda e non potrebbe essere diversamente. Sembra che le Istituzioni vogliano chiudere gli occhi, occultare la realtà e far passare un’immagine, un’idea, dei soldati impegnati nei teatri bellici mondiali come quest qui di fianco, dove l’immagine delle armi è bandita.

Ma, come scriveva sabato scorso l’ottimo Fausto Biloslavo,è proprio l’addestramento combat e le operazioni in prima linea che permettono ai militari di intervenire a casa nostra per garantire sicurezza o nei disastri“. 

C’è al fondo un pensiero che associa i termini “patria”, “esercito” all’attitudine guerrafondaia, quando in realtà il soldato è esattamente colui che è e che fa le cose che potete ascoltare e vedere nel video censurato (il monologo è tratto da Soldier, una poesia di un veterano del Vietnam, per altro).

Ma c’è chi la pensa diversamente, come il regista e attore  Edoardo Sylos Labini, che propone un’idea culturale: in vista del 4 novembre, dopo 100 anni dalla vittoria nella Prima Guerra Mondiale, i ministri leggano in dialetto una lettera dalle trincee, per tributare quei soldati di ogni città e paese italiani che vissero e morirono nella Grande Guerra.

Vi proponiamo quindi l’intervista di Antonio Rapisarda pubblicata sul quotidiano Il Tempo, dove Edoardo Sylos Labini le canta a Emmanuel Macron e soprattutto lancia una proposta “scomoda” e fuori dal coro (Redazione).

Il guanto di sfida alla burocrazia UE, lanciato da Matteo Salvini con un “me ne frego” dannuziano, non poteva non far vibrare le corde di chi, come lui, al Vate si ispira da sempre e a questo ha dedicato un tributo teatrale che continua a fare sold-out in giro per l’Italia. Per Edoardo Sylos Labini, attore “non conforme” e fondatore del network CulturaIdentità, il motto rilanciato dal vicepremier richiama non solo un precursore della sfida che si combatte oggi, ma anche una precisa estetica d’azione: «Sa cosa diceva D’Annunzio a Fiume nel ‘19?: “E’ necessario che una nuova fede popolare prevalga contro la casta al servizio della spietata burocrazia”. E’ normale che anche Salvini lo citi oggi contro l’Europa dei banchieri…meno male».

Matteo Salvini le ha rubato la battuta più dannunziana: un gran me ne frego alle istituzioni europee..

Da D’Annunzio hanno attinto in tanti, Mussolini per primo; ma anche Gramsci bussò alla porta del Vittoriale. Il “me ne frego” era uno di quei motti con il quale il Vate rivoluzionò la comunicazione cento anni fa. Erano i tweet di un secolo fa ma, dietro ad una forma geniale nascondevano grandi contenuti. Quella di D’Annunzio è una figura affascinante e complessa, che porto in scena da più di cinque anni. E’stato un grande poeta, oltre che uomo d’azione. Un vero maestro. Pensate invece a quelli che oggi si ispirano a Saviano!

A proposito, Emanuel Macron ha chiamato alla sua corte Roberto Saviano sancendo di fatto un nuovo asse tra il fronte europeista e gli intellò anti Salvini per eccellenza, entrambi sostenitori di un’ Europa senza confini, multiculturale, destrutturata dal punto di vista identitario.

Non è una novità che il mondo radical, che da anni cerca di occupare militarmente un settore come quello culturale, sia in crisi. Non hanno più padrini, sono diventati impopolari e allora preferiscono l’attico a New York e una spintarella a Parigi. Che a tutta questa “compagnia di giro” serva un nuovo nemico per vendere qualche libro in più o avere un gettone di presenza in qualche programma televisivo non è certo una scoperta. Prima c’era l’odiato Berlusconi, che però quando li pubblicava o li ospitava nelle tv andava bene, ora c’è Salvini. Degli immigrati o del Meridione non gliene può fregare di meno, sono solo un mezzo per ingrossare il loro conto in banca. Del resto, lo abbiamo visto ampiamente, il profitto è il mantra di questo fronte multiculturale: dietro al paravento della finta accoglienza si nascondono solo interessi economici.

Il 4 novembre saranno cento anni dalla vittoria della Grande Guerra, un evento semi-dimenticato, non solo dalle istituzioni ma anche dalla cultura mainstream.

Si è fatto veramente poco per questo anniversario. Tre anni fa, con Angelo Crespi, ispirandoci al capolavoro di Mario Monicelli La Grande Guerra, abbiamo fatto uno spettacolo con Debora Caprioglio per raccontare quell’incredibile universo umano che popolò le trincee italiane. Lì si fece l’Italia,  lì si incontrarono i vari dialetti, lì nacque una fratellanza tra i vari popoli italiani che non può essere dimenticata. Quell’Italia dal basso che si sacrifica per quell’ideale risorgimentale di Patria deve essere onorato. Questo centenario non si è festeggiato veramente perché la parola Patria alla sinistra ha sempre fatto orrore.

Che fare, allora?

Quando sento fischiettare il Piave mormorava mi vengono i brividi. Il 4 novembre tutti i ministri della Repubblica leggano, come in un concerto a più voci, una lettera dalle trincee del ‘15-‘18 nel proprio dialetto: è poco, ma sarebbe un segno identitario forte, di amore verso l’Italia.

Rischia di restare fuori il grande pubblico

Proprio per questo ho lanciato pochi mesi con un gruppo di intellettuali, artisti, imprenditori un’ associazione, CulturaIdentità, che sta aggregando tutto un mondo sommerso che fa uno straordinario lavoro sul proprio territorio di rilancio e valorizzazione della cultura e dell’identità italiana.

Sta dicendo che Salvini e il Governo dovrebbero chiamare Lei e i suoi all’appello?

La nostra non è un associazione politica, non vogliamo nessun cappello, però è normale che siamo pronti a dialogare con chi mostrerà interesse verso il nostro progetto culturale. Siamo l’Italia, il Paese dell’arte e della bellezza: con il 70% del patrimonio UNESCO del mondo abbiamo una ricchezza che  non sappiamo valorizzare ed esaltare. E questo non è ammissibile.

Dell’ultimo governo di Centrodestra è rimasta celebre l’uscita di Tremonti: “Con la cultura non si mangia”. E’ tempo di aggiornare il concetto, mi sa..

Il grave errore dei governi di Centrodestra negli ultimi decenni è stato sempre quello di fregarsene del settore Cultura, pagandone poi le conseguenze. Se sono nati girotondi vari, i  #meetoo  e i #senonoraquando è perché gli artisti e gli intellettuali non sono mai stati ascoltati da quella parte politica. Così la sinistra ha occupato militarmente il settore con artisti militanti : tu ti tesseri e io ti piazzo. Infatti al di là di Pasolini, dal Dopoguerra culturalmente non è stato prodotto nulla che rimarrà nella storia, soprattutto se penso alla vera Cultura italiana dei primi del 900, da D’Annunzio a Marinetti, il Futurismo e Pirandello.

Sylos Labini: "Il 4 novembre i ministri leggano una lettera dalle trincee nel loro dialetto"

Con CulturaIdentità Lei ha messo in rete associazioni ed intellettuali non conformi “per recuperare quelle radici”. In questa Terza Repubblica, dove piantarle?

Ad esempio nel dare molta più attenzione e fondi ad un settore strategico come quello della Cultura. Che, malgrado il disinteresse di tutti gli ultimi governi, produce più di 90 miliardi di PIL, senza considerare l’effetto moltiplicatore di un evento culturale su altri comparti dell’economia. Occorre detassare e incentivare le imprese che aiutano un settore così strategico per il nostro paese.

Nel vostro decalogo si parla di sovranizzare: a lei la spiegazione.

Nel manifesto che abbiamo lanciato a febbraio dal palco del teatro Manzoni di Milano , Dieci idee che diventano azioni, c’è il verbo Sovranizzare, cioè restituire ad ogni gente la propria storia, lottare per la sovranità di tutti i popoli senza divario di  lingua, classe, religione. Difendere la propria identità non è chiusura, al contrario è apertura alla diversa identità, ma è allo stesso tempo rispetto per quello che siamo. Se io vado in un paese straniero, rispetto le tradizioni di chi mi ospita senza imporre le mie. In italia invece succede troppe volte il contrario. Stava diventando una terra di nessuno, dove tutto è permesso. Vi ricordate i teppisti olandesi con la Barcaccia di piazza di Spagna? Quella è stata la metafora di un Paese che non difende la propria storia.

Come si commenta a tutto questo network europeo? Con chi?

Il progetto di Steve Bannon sta creando grande interesse, ma io credo che dietro ad un progetto politico ci debba essere inanzitutto un progetto culturale. Oggi come cento anni fa, quando D’Annunzio occupa la città Fiume, la scelta è tra l’Europa dei Popoli e quella dei tecnocrati. Quella dei Popoli si fonda sulle identità , le tradizioni, la bellezza e la straordinaria varietà delle culture europee. Quella dei tecnocrati sullo spread, la soffocante tassazione sui cittadini, l’omologazione del pensiero unico che dietro una globalizzazione delle menti studiata a tavolino serve solo a creare piccole sacche di potere ed interessi.

Le battaglie e le tematiche sovraniste sono sempre più condivise e sostenute dal popolo, ma trovano poco spazio nell’industria culturale, oggi totalmente scollegata dal sentire comune. La RAI sovranista dovrà essere uno strumento centrale per affermare un egemonia già penetrata nella società?

La Rai può, anzi deve, avere un grande ruolo culturale per il rilancio del nostro Paese.  Il servizio pubblico negli anni si è allineato troppo alla tv commerciale, dimenticando troppo spesso i contenuti in nome del Dio-share. Come se la qualità di un prodotto si basasse solo sugli ascolti. La Rai può permettersi anche altri misuratori di gradimento, oltre allo share,  perché la Rai siamo noi, la paga ogni cittadino italiano e deve accontentare tante tipologie di pubblico. E questi ha il diritto a una pluralità di contenuti.

Nella RAI che vorrebbe…

Ci sono grandi professionisti che lavorano già in Rai. Serena Bortone merita una prima serata. Mi piacciono molto Angelo Mellone e Alessandro Giuli. Vorrei il ritorno di GB Guerri e di Giusy Versace. Programmi sulla Storia, sull’Arte e sul Teatro e su temi di attualità come Legittima Difesa e Disabiltà. In caso potete contattare anche il mio agente!!