“Sovranità o barbarie”, contro l’ideologia neoliberista

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Pexels License, Ph. Philipp Birmes
"Sovranità o barbarie", perché la Sinistra torni a parlare di Nazione
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Una “battaglia senza quartiere” contro l’ideologia neoliberista per recuperare gli strumenti politico-culturali utili a condurre una “controffensiva popolare contro le élite politiche e finanziarie transnazionali”: è questa la premessa che apre il libro Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale di Thomas Fazi e William Mitchell, primo volume della nuova collana Visioni eretiche di Meltemi Editore in uscita il 31 ottobre.

Un saggio scorrevole e ben articolato che, fin dal titolo, ammicca alle forze politiche dell’attuale Sinistra e pone una domanda scomoda, eretica appunto: perché non rimettere al centro del proprio programma la questione della sovranità nazionale?

“Mettersi dunque sulla scia degli emergenti nazionalismi e rinnegare decenni di lotte per l’integrazione nella UE?”, qualcuno potrebbe obiettare. Certamente ciò significherebbe una svolta a 180 gradi, per una (morente) Sinistra che negli ultimi decenni ha sostenuto attivamente il percorso dell’Italia in Europa,ma, come ben argomentano gli autori, una “Sinistra sovranista” non sarebbe un tradimento dei propri ideali, quanto un ritorno sui binari della Sinistra delle origini, la quale inquadrò proprio lo Stato sovrano come strumento con cui realizzare il benessere sociale per le classi popolari, e indicò il sovranazionalismo come espressione della grande finanza.

Fazi e Mitchell iniziano con un excursus storico, ricostruendo il percorso che va dal cosiddetto “trentennio glorioso”, in cui il mondo occidentale del secondo dopoguerra, seguendo le teorie economiche di John Maynard Keynes, vide una crescita senza pari, fino alla conclusione di questo periodo con l’emergere delle teorie economiche neoliberiste negli anni settanta.

Una fine, quella del keynesismo, decretata dal termine del regime di Bretton Woods, dall’idea che una delle cause della crisi economica fosse la spesa pubblica, e da quella secondo la quale il diffondersi delle multinazionali stesse rendendo lo Stato impotente davanti alle nuove sfide economiche.

In questo processo, ad assumere “il ruolo di becchini” furono, prima dei ben noti Reagan e Thatcher, James Callaghan in Inghilterra e François Mitterrand in Francia: il primo liquidò la Sinistra radicale nel Labour, mentre il secondo svoltò abbandonando il programma socialista con cui fu inizialmente eletto.

E’ l’Italia, tuttavia, il vero laboratorio del neoliberismo europeo e il fulcro della ricerca degli autori. Nonostante le forze di Sinistra abbiano mostrato il loro scetticismo fin dai tardi anni Quaranta (“L’Unione Europea è la Germania alla testa dell’Europa”, diceva il socialista Pietro Nenni, mentre Lelio Basso sosteneva che il Consiglio Europeo fosse la maschera dell’imperalismo americano), nel Belpaese si è realizzata un’inquietante parabola discendente di cessione della sovranità, partita dall’adesione alla CECA e culminata con la rimozione di Silvio Berlusconi nel 2011, passando per la liquidazione dell’IRI nel 2002. In tutto questo, come dimostra bene il libro, la Sinistra italiana ebbe un ruolo non marginale nell’ignorare una Costituzione, quale la nostra, fortemente orientata verso il compimento dello Stato sociale e al raggiungimento di un regime post-capitalista.

Un saggio per chi vuole rileggere la storia e mettere in discussione le proprie idee, dunque? Si, ma anche e soprattutto una lettura obbligatoria, imprescindibile, per chiunque intenda attingere argomenti e consigli utili a una lotta a tutto tondo contro l’ideale europeista.

Perché, come gli autori dimostrano nei capitoli conclusivi, il ritorno dell’Italia verso la piena sovranità, lungi dall’essere impossibile, potrebbe un giorno essere auspicabile e necessario per la sua stessa sopravvivenza.