La bellezza, quello spaventoso “busillis” di Wolf-Ferrari

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Jean-Honoré Fragonard, 1765, Olio su tela, 64x80 cm, Museo del Louvre, Parigi. ean-Honoré Fragonard [Public domain], via Wikimedia Commons
Jean-Honoré Fragonard, 1765, Olio su tela, 64×80 cm, Museo del Louvre, Parigi. ean-Honoré Fragonard [Public domain], via Wikimedia Commons

Giannotto Bastianelli, uno dei più importanti critici musicali italiani di inizio Novecento, definì Ermanno Wolf-Ferrari (1876-1948) un «tardo nipote di Mozart e di Cimarosa».

Avulso tanto dalle avanguardie più radicali quanto dall’operismo verista italiano, Wolf-Ferrari ricercò i suoi modelli, come scrisse giustamente Bastianelli, nell’elegante equilibro del Settecento.

Per lui, di doppia formazione (tedesca e italiana), nella produzione musicale novecentesca mancava un semplice attributo, la bellezza: «Bisogna riaffermare il concetto di Bellezza in arte», scrisse nel 1936 in una lettera al collega compositore Adriano Lualdi, «hai osservato che questa parola viene evitata da molto tempo? Io so perché: essa fa paura. “Interessante”, “innovatore”, “volto al futuro”, ecc. ecc., tutte parole che evitano senza che si veda il busillis».

La bellezza, dunque. Aggettivo talvolta banale e scontato, eppure che si attaglia perfettamente alle musiche del poco conosciuto Wolf-Ferrari contenute in The two Piano Trios, il cd (Brilliant Classics) del Trio Arché inciso in occasione del 70° anniversario della morte del compositore veneziano. Francesco Comisso (violino), Dario Destefano (violoncello) e Francesco Cipolletta (pianoforte) propongono il Trio n. 1 op. 5 in Re maggiore e il Trio n. 2 op. 7 in Fa diesis maggiore.

Composti in età giovanile – datati 1896 il primo, 1901 il secondo – nelle due pagine cameristiche si intravede già e pienamente la stoffa del sinfonista e operista: l’ambientazione sonora è classica (echi di Brahms, di Schumann, di Fauré, di Franck non sono rari da scovare), spesso frizzante come nel pungente secondo movimento o nell’Allegro finale del Trio n. 1, sinuosa come nel Larghetto del medesimo Trio, garbatamente cesellata come nell’ammaliante Largo del n. 2 o nell’appartato e cortese movimento finale.

La magia della musica di Wolf-Ferrari è la sua straordinaria opulenza in un contesto eppur così semplice. E questa fu la caratteristica del compositore italiano più ammirata dai suoi colleghi d’oltralpe. Perfino di un gigante quale Max Reger che gli scrisse: «Tu possiedi qualcosa che nessuno di noi possiede: la semplicità».

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Nato a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1986. Orgogliosamente piemontese e monferrino: ama la tavola, il vino e la nebbia della sua terra. Ha studiato Canto gregoriano a Milano e Lettere a Vercelli. Si occupa prevalentemente di musica (tutta: dal gregoriano alle avanguardie) e recensioni librarie. Ha al suo attivo diversi articoli sul canto gregoriano, sulla musica sacra, sulla musica nella "Commedia" di Dante e sulla musica trobadorica pubblicati in riviste internazionali. È anche autore dei volumi "Le cetre e i salici" (Fede&Cultura, 2015), "Rumorosi pentagrammi. Introduzione al futurismo musicale" (Solfanelli, 2018) e "Ezra Pound e la musica" (Eclettica, 2018). Giornalista e critico musicale, collabora con «Il Giornale», «Il Giornale OFF» e «Amadeus».