Toni Capuozzo : “Da terremotato ho capito che avrei fatto l’inviato”

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Toni Capuozzo, 69 anni, giornalista eclettico: inizia la carriera di giornalista presso il settimanale Lotta Continua, dove segue l’America Latina; poi tante altre illustri collaborazioni e una vita professionale in Mediaset, dove segue per i vari TG della rete la guerra in Jugoslavia, i conflitti in Somalia, in Medio Oriente, gli sviluppi delle vicende in Afghanistan e Unione Sovietica. Su Mediaset conduce per anni Terra!. Una carriera dedicata quindi a raccontare i fatti dal mondo agli italiani, come pochi altri cronisti del nostro tempo hanno saputo fare. Da poco è tornato dalla Russia, inviato speciale ai Mondiali 2018.

Lei è itinerante come pochi giornalisti: ci racconti dov’è stato ultimamente.

Sono appena tornato dalla Russia, dove ho seguito, diciamo, il contorno dei Mondiali, dato che non sono andato nemmeno una volta allo stadio. Ho raccontato del clima che si respirava in città a Mosca e dei problemi della sicurezza.

Quali problemi?

Allora, sicuramente c’è stata un’enorme apertura della nazione russa all’esterno, cosa non esattamente all’ordine del giorno. Tieni presente che l’accesso al paese era consentito senza il visto; ho riscontrato una forte presenza di tifosi latino americani, poi nord europei, islandesi, danesi. Tra l’altro ho trovato una Mosca molto cambiata, rimessa a nuovo e aperta ai cambiamenti; io ci sono stato molte volte, per altre ragioni ovviamente, ma questa volta  ho percepito una grande attenzione ai problemi legati alla sicurezza. Mi spiego: ci sono stati almeno due episodi di auto contro la folla (stragi scongiurate per un pelo) che le autorità si sono affrettate a derubricare come incidenti stradali (a Mosca e a Sochi), anche se le dinamiche erano più che sospette. E’ evidente che tutto sia fatto nell’ottica di far passare un clima di serenità e soprattutto una percezione di controllo totale da parte delle autorità.

Torniamo nel nostro Paese. Da ormai qualche settimana, come ben sa, si stanno manifestando le politiche sull’immigrazione di questo governo Lega – 5 Stelle: lei come valuta le scelte prese in quest’ambito?

La situazione come l’abbiamo vista negli ultimi quattro, cinque anni non poteva che esplodere in un cambiamento. Comunque uno la pensi, a Salvini non può non essere attribuito il merito di aver cercato di porre la questione veramente sul tavolo europeo. Eravamo diventati la sala d’attesa dell’Europa e in cambio di una certa “elasticità sul debito”, diciamo, siamo stati lasciati soli a gestire questa situazione drammatica. E la situazione è estremamente complicata, non possiamo certo continuare ad accogliere persone senza poterle mettere in condizione di vivere dignitosamente; c’è molta ipocrisia nel non voler distinguere le situazioni di chi sta scappando da una guerra e di chi sta semplicemente migrando per ragioni economiche. Le migrazioni economiche nello specifico devono rispettare delle regole ben precise. Inoltre in Italia, purtroppo, non c’è una conoscenza reale e diffusa di quali siano i problemi del mondo: se guardi l’elenco delle persone che si imbarcano in Libia, la stragrande maggioranza non viene da paesi in guerra. Non c’è nessun sud sudanese ad esempio, pur essendoci in Sud Sudan l’unica guerra in corso nel continente africano. Il problema vero è che i poveri non partono, parte chi ha abbastanza soldi per poterselo permettere: non tutti però possono venire qui da noi per cambiare vita, la migrazione economica deve sottostare a delle regole, come già detto.

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Abbiamo parlato di Salvini e di come con questa questione dei migranti abbia in qualche modo attirato le luci della ribalta su se stesso, facendo schizzare il consenso della Lega. In tutto questo Silvio Berlusconi, che non ha niente a che vedere con Salvini evidentemente, cosa rischia? Qual è politicamente lo stato di salute di Berlusconi?

Io credo che lo stato di salute sia incerto per tutti oggi, non solo per Berlusconi. In Italia è un attimo  salire nei sondaggi e  crollare il giorno dopo, dato che l’elettorato italiano si è fatto volatile: un giorno si vota per uno e un giorno per un altro. Mi ha sorpreso Salvini quando ha detto di poter governare per trent’anni: non credo sia possibile. Le partite in questo paese sono in qualche modo sempre aperte per tutti…

Anche per Renzi la partita è ancora aperta?

Quella sinistra lì ha un certo radicamento e Renzi è riuscito a bruciarsi l’attaccamento a quella base elettorale. Detto questo, è impossibile fare previsioni sul futuro e a mio avviso, come nei Mondiali di calcio che stiamo vedendo in questi giorni, può succedere di tutto. L’unica certezza è che i voti sono in prestito, non esistono più grosse fette di elettorato che regalano a prescindere il proprio voto ad una parte politica. Quindi non è detta l’ultima parola per Berlusconi e men che meno per Renzi.

Toni, parliamo un po’ di lei che ne ha viste di tutti i colori e ha raccontato il mondo a questo paese mai troppo conscio di ciò che vi è al di fuori dei confini. Ci racconta un episodio OFF della sua vita che l’ha portato a imboccare la strada che l’ha portata qui oggi?

Ho avuto molti snodi nella mia vita, episodi OFF come hai detto tu, mi è difficile quindi individuarne uno in particolare; se dovessi dirti del momento in cui la mia vita è cambiata, ti direi però certamente del terremoto in Friuli. Ho dormito per un mese in tenda e dopo quell’esperienza, eravamo nel 1976, Lotta Continua, che all’epoca era solo un giornale (non esisteva più il movimento politico), mi chiese di andare in Montenegro a raccontare il terremoto da poco accorso da quelle parti. Lo chiesero a me non in quanto giornalista, che ancora non ero, ma in quanto terremotato. Da lì capii che mi sarebbe piaciuto vivere scrivendo e raccontando storie e, soprattutto, farlo viaggiando.

Ultima cosa: ci dice due parole sulla decisione dell’amministrazione milanese di piazzare alla commissione Cultura la consigliera dem Sumaya Abdel Qader? Decisione su cui lei ha avuto più di una perplessità se non sbaglio, come molti altri.

Naturalmente penso che portare il velo sia un diritto inviolabile e che non ci sia niente di male poiché non preclude nulla, compreso il buon impegno politico. La mia perplessità è legata al fatto che è stata messa proprio alla cultura; non avrei detto nulla se fosse stata nominata – invento –  “assessore al traffico”, andava bene qualunque cosa. Ritengo altresì che questa persona alla Cultura non rappresenti realmente la storia, la cultura e le radici, nonché le molte sfaccettature della cultura milanese e italiana. La cultura è inevitabilmente pluralità di scelta e via così, sia chiaro, ma pur detto questo rimango dubbioso sulla scelta di mettere una donna che ha un background di quel tipo e ha scelto volontariamente di portare il velo, a rappresentare le nostre radici. Non ci credo molto, tutto qui. Mi sembra una provocazione, specie in un momento come questo.

Sumaya Abdel Qader ha poi ritirato la propria candidatura alla Commissione Cultura [n.d.r.]

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