Come ogni anno la musica ricorda i suoi grandi protagonisti. Il 2018 vede almeno due grandi anniversari: i 100 anni della morte di Debussy e i 150 di quella di Rossini.
Nel solco dei cosiddetti “minori” – termine che non ci piace, ma che se lo utilizziamo lo facciamo solo per comodità –, per l’Italia vi sarebbe un doppio anniversario: i 140 anni dalla nascita e i 40 dalla morte di Giovanni Pennacchio.
Di prim’acchito, il nome – ne siamo ben consapevoli – risulterà un Carneade. Eppure, a ben scorgere le oltre 300 pagine della sua monografia appena approdata nelle librerie, Giovanni Pennacchio. La vita di un compositore all’ombra di Leoncavallo (Zecchini Editore, pagg. 365, euro 29) scritta da Paola Chillemi, figlia dell’ultimo allievo di Pennacchio, non c’è che da chiedersi se l’oblio nel quale il compositore italiano giace non sia, almeno in parte, immeritato.
Nato a Napoli nel 1878 e morto nel 1978, nei suoi cento anni di vita, Pennacchio si guadagnò un posto di primo piano grazie alla musica bandistica facendosi le ossa in campo militare: nel 1896 divenne Appuntato Musicante nel 93° Reggimento Fanteria, l’anno seguente Caporale e, poco dopo, Capo Musica del Regio Esercito Italiano con grado di Sottotenente del 77° Reggimento Fanteria di Ravenna. Negli di carriera bandistica, nota l’autrice ricordando cronache dell’epoca, Pennacchio «veniva acclamato con vero entusiasmo dalle folle cittadine». Pubblicò nientemeno che con Ricordi (il patron della casa editrice Giulio Ricordi, infallibile fiutatore di “talenti”, lo notò durante un concerto bandistico in Piazza della Scala a Milano) con oltre cento titoli. Fu poi attivo a Firenze dirigendo la banda cittadina e quelle di Pistoia e Arezzo e, soprattutto, dal 1926, a Catania come direttore della gloriosa Banda civica catanese (anni fecondissimi, quelli del ventennio, che Paola Chillemi sonda con invidiabile minuzia).
Ciò che colpisce è come, ai suoi tempi, Pennacchio sia stato tutt’altro che un compositore di secondo piano date le sue frequentazioni con Puccini, Mascagni, Giordano, Cilea, Respighi, Caruso, Leoncavallo. E fu proprio con Leoncavallo l’amicizia più stretta e professionalmente più florida: «Ci fu un vero e proprio sodalizio, un’intesa di vedute e di ingegno, una fiducia reciproca ed un affiatamento costante».
Quella tra i due colleghi fu un’«intesa» e una «fiducia» così salda che ben è testimoniata dal loro carteggio riportato in questo volume. A titolo d’esempio della caratura di Pennacchio e di quanto fosse considerato dal compositore dei Pagliacci basterà notare che Leoncavallo stesso affidava a Pennacchio le proprie musiche da orchestrare (poi rispondendogli, come in una lettera dell’11 maggio 1917: «Inutile dirvi che tutto è perfetto») e, ancora, che fu proprio Pennacchio a portare a termine l’Edipo Re dell’amico Ruggero.
A conclusione del libro, una sezione curata da Riccardo Viagrande dedicata all’analisi della produzione musicale di Pennacchio: sinfonica (Sanctus Apollinaris, Sinfonia in Mi minore, Sinfonia ciclica, Trittico michelangiolesco), teatrale (Erica e Redenzione), pianistica, cameristica e bandistica.