Diego Fusaro, 35 anni, docente all’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP), è un filosofo che ha fatto del pensare altrimenti e ostinatamente contro il fondamento della sua riflessione, riuscendo però a scardinare il muro di gomma del pensiero unico imperante e del politicamente corretto.
La ragione c’è, ci spiega. Il sistema mediatico si configura come totalitarismo glamour, tratto tipico della società dei consumi, e deve dunque presentarsi ospitale per essere più convincente e, di conseguenza, tende ad accogliere tutti. Ha sempre funzionato così.
All’inizio della sua carriera, o anche di recente, lei ha vissuto dei momenti Off?
Le idee non dominanti, quelle per intenderci della classe non dominante sono da sempre non dico ostracizzate, ma quanto meno diffamate o considerate false in quanto tali. Quindi vivo e ho vissuto continuamente momenti Off.
Canone, forma e “mestiere” sono spesso osteggiati in ogni ambito artistico. Oggi tutto è performance, provocazione solipsistica, destrutturazione nella cultura del jet-set. Gli antichi modelli estetici dei popoli, ispirati al sacro e in grado di innescare empatia con il pubblico sono considerati con snobismo. Secondo lei sarebbe opportuno e, in ogni caso, possibile recuperare una dimensione estetica votata al Bello?
Assolutamente sì. Oggi la cultura dominante, se di cultura si può parlare, si basa essenzialmente sulla distruzione di ogni canone estetico basato sul limite, sulla misura, sulla proporzione. L’arte di un Fidia, per esempio, oggi non sarebbe considerata arte. Oggi è vincente la cosiddetta “merda d’artista”, tutto ciò che profana e viola ogni inviolabile, cioè tutto ciò che asseconda l’illimitatezza e la disarmonia della nostra epoca.
In che misura la decomposizione dei valori tradizionali e la retorica dei diritti civili è funzionale alle logiche del turbo-capitalismo?
Il turbo-capitalismo contemporaneo si basa sull’abbattimento dei diritti sociali, che sono diritti dell’uomo comunitario libero e uguale, figlio di una comunità e portatore di uguali diritti e uguali doveri (“inserito in un popolo”, direbbe Hegel) e promuove per converso in maniera vuoi risarcitoria, vuoi distruttiva, i diritti civili che scalfiscono minimamente le logiche del fanatismo economico, e costituiscono, al contrario, i diritti dell’individuo globalizzato e consumatore, post-comunitario, che considera i diritti individuali proprietà di cui dispone. Essi sono i diritti dell’homo consumens globalizzato.
Dalla globalizzazione e dalla standardizzazione dei costumi si esce recuperando le diversità e l’identità dei popoli?
Ci si de-globalizza in vari modi che vanno messi insieme: sul piano culturale sicuramente valorizzando il caleidoscopio delle culture plurali e innanzitutto valorizzando la propria, naturalmente. E poi lottando contro il sistema del globalismo economico che propone come unico modello il libero mercato deregolamentato, cioè il libero cannibalismo a beneficio delle élite finanziarie, basato sulla competitività senza frontiere, fondato sulla dinamica della crescita illimitata. Bisogna uscire da questo modello e ripartire dall’etica greca del giusto limite, della vita comunitaria, di quella che Aristotele chiama la koinonìa, la comunità come spazio in comune tra gli uomini.
Heidegger, Nietzsche o Del Noce?
Direi nessuno dei tre, o direi tutti e tre messi insieme, nel senso che nessuno di loro è mio modello privilegiato. Direi che da Heidegger apprendiamo l’idea che l’Essere si sia obliato e dimenticato nell’epoca della Volontà di Potenza illimitata, in cui non vi è più l’Essere, ma l’Ente disponibile per la crescita illimitata. Da Nietzsche riceviamo innanzitutto l’idea che Dio è morto in questa epoca in cui ha valore solo il mercato planetarizzato e gli uomini hanno smesso di credere ad alcunché e ogni valore è precipitato. E infine da Del Noce apprendiamo il fatto tristemente noto che i partiti comunisti si sono trasformati in partiti radicali di massa volti alla difesa dei diritti civili dell’uomo consumatore individualizzato.