Torino alla fine degli anni Sessanta è una città in pieno cambiamento. Dal Sud sono arrivati 1.300.000 uomini e donne in cerca di riscatto sociale e di lavoro. La Fiat e le industrie attirano persone come calamite. Al turbinio di dialetti si mescolano le aspirazioni dei giovani che guardano all’Europa e al Sessantotto che è alle porte.
Nel ‘64, dalla più vicina Como, è arrivato anche un ragazzino dallo sguardo spiritato e dal fisico esile e scattante. Capelli lunghi al vento ha un destro che ammalia il pallone e lo incatena. Gigi Meroni, la Farfalla Granata, rappresenterà il futuro di una città che ancora non si era del tutto ripresa dalla tragedia del Grande Torino.
Tecnicamente eccelso, e ineccepibile, in campo, fantasioso, scandaloso e unico fuori dal rettangolo di gioco. Molti lo definirono, a posteriori, il George Best italiano, ma Gigi del maledetto nordirlandese non aveva la sregolatezza e nemmeno le punte alte di genio. Il suo volo, purtroppo, si fermò la sera del 15 ottobre dopo una vittoria sulla Sampdoria. La sua morte è una di quelle storie che hanno reso il Torino una squadra amata e riconosciuta in tutto il mondo, unica. Avesse vestito un’altra maglia nessuno ci avrebbe creduto. Ai suoi funerali andarono 20.000 persone, come a una partita. L’ultima. La maglia del Torino ha compiuto diversi miracoli sportivi. La domenica dopo, il 22 ottobre, c’è Torino-Juventus. Il derby delle lacrime e del silenzio.
In campo c’è Nestor Combin, francese, amico fraterno di Gigi Meroni. Vuole giocare nonostante la febbre alta, segnerà tre gol, ma non è lui il miracolo. All’epoca si giocava sempre con numeri dall’uno all’undici e la 7 granata toccò ad Alberto Carelli che di Gigi Meroni era l’antitesi. Un uomo, e un calciatore, normale.
Mancano poco più di venti minuti alla fine della partita. Un contropiede. La palla viaggia lunga. Carelli corre sulla fascia, quasi vola, spalla a spalla con l’arcigno Leoncini che improvvisamente cade abbattuto dall’ala granata. Il portiere, Colombo, gli si fa incontro, lo stopper gli chiude lo specchio della porta. Carelli, che aveva tante qualità ma difettava di fantasia, s’inventa un esterno destro a scavalcare che non mostrerà altre volte. Gol. Corre Alberto, raccoglie la palla. La alza al cielo come a cercare approvazione. Trova un sorriso che ancora oggi, a cinquant’anni di distanza, fa e facciamo fatica a raccontare.