Il Cristo rivelato all’artista non vedente

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images-1Felice Tagliaferri  nel 1982 era un ragazzino di quattordici. Abitava a Carlantino, in Puglia, un paese con poco più di mille anime. Era sereno e si godeva appieno la vita .

Una vita semplice fatta assieme ai nonni e ad una mamma e un papà che lo amavano e lo sostenevano nella sua giovane vita. La famiglia si trasferì a Bologna dove Felice scoprì la parola “sacrificio” .

Un giorno, infatti, i genitori del ragazzino si accorsero che , lentamente ma costantemente la vista di loro figlio andava peggiorando. Non si trattava di un banale disturbo della vista ma di qualcosa di più grave.

Così Felice fu portato a una visita medica oculista che diagnosticò una malattia degenerativa della cornea che lo avrebbe portato da lì a poco alla completa cecità.

Non c’era nulla da fare, il piccolo Felice era destinato a vivere il suo futuro nel buio più totale.

Quella diagnosi fu un colpo al cuore. Sgomento, rabbia paura per il proprio futuro animavano l’anima di Felice .

La luce lentamente sparì dalla vita del ragazzo e rimase solo un ricordo spesso triste che portava il giovane in un luogo colmo di fantasmi e solitudine. Le giornate e gli anni andavano avanti e Felice trovòimages-2 lavoro alle poste di Bologna.

Un giorno, grazie ad un’inserzione sulla rivista dell’associazione nazionale ciechi, comparve l’appello di un artista, il maestro di scultura dell’Accademia di Brera Nicola Zamboni.

Fu così che Felice Tagliaferri riconobbe di nuovo un mondo fatto di passioni e di slanci creativi.

Il buio divenne il luogo dove trovare e ricercare quelle forme, già conosciute da giovane, ma volutamente dimenticate ed emarginate in un spazio della mente per evitare di soffrire.

Toccare con le mani le opere d’arte e plasmare corpi cercando di riportare alla memoria un ricordo, un sentimento provato divenne un meraviglioso esercizio che permise a Felice di sentirsi ancora parte di quel mondo che pareva averlo abbandonato.

Fin quando nel 2008 un’intuizione.

Felice si reca nella Cappella San Severo a Napoli per visitare il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino.

Voleva toccare quella scultura Felice, voleva sentirla sulle sue dita, nel palmo della propria mano.

Ma quel desiderio gli fu negato e da lì nacque la scommessa: replicare quel Cristo che non avevano voluto fargli toccare. Lentamente Felice riuscì a scolpire il suo Cristo che non era più “velato” ma si era Unknown-1“rivelato”. Ne era non copia ma traduzione da un linguaggio che proviene dall’oscurità ma che si manifesta in tutta la sua straordinaria realtà.

È un’opera iper-realista quella dell’artista Felice Tagliaferri che ci porta per mano nel suo mondo non più fatto di ombre e di buio ma oramai diventato luogo d’incontro tra chi come noi può vedere e chi no.

La scultura del Cristo Rivelato è stata toccata da più di duecentomila persone.

Donne, uomini e bambini che hanno visitato il mondo di Felice e ne sono rimasti affascinati perché, oltre al valore artistico, la scultura di Felice Tagliaferri ha un grande significato simbolico: quello di divenire un ponte linguistico tra i vedenti ed i non vedenti in un esperanto universale che appartiene all’umanità e non ai popoli.