80 anni del mito Renzo Arbore. La sua intervista OFF

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Ha compiuto 80 anni uno dei pilastri della tv , uno dei volti più apprezzati e longevi dello spettacolo italiano. Augurandogli 100 di questi giorni, riproponiamo ai lettori di OFF l’intervista cult a Renzo Arbore che, ci racconta la sua vita e la sua carriera in ogni dettaglio

RenzoArboreIntervisteCognome: Arbore. Nome: Giovanni Lorenzo. Disc-jockey, autore, regista, sceneggiatore, attore, showman, clarinettista. In una parola: artista. La sua casa romana è una specie di Vittoriale Pop, traboccante di ninnoli, carillon che suonano, foto epiche con dediche, libri, vinili; è luminosa e colorata come lui. Abbiamo parlato di tutto: musica, improvvisazione, televisione, poesia, donne, arte e orto: “Come sono difficili le melanzane, vanno aiutate a crescere. I pomodori invece danno molte soddisfazioni”. Abbiamo mantenuto il “lei” istituzionale a fatica.

Chi è un artista?

Secondo me l’artista ha un tassello in più dello scienziato, che è già il massimo della scala. Il vero artista è un signore fuori ordinanza. Ha un vantaggio rispetto agli altri mestieri: non è razionale. L’artista sfugge alle regole. Fontana fa uno squarcio sulla tela ed è artista come Modugno che canta Lu pisci spada. E siccome siamo in un’epoca di rottamazione voglio dire: l’artista è longevo! Quando sento: “Questo lo rottamiamo, ha fatto il suo corso”, ebbene caro Renzi, Presidente del Consiglio, nel mondo artistico non esiste la rottamazione. Io ho imparato dagli artisti più vecchi di me: Roberto Murolo, Louis Armstrong, Totò, Charlie Parker, Ruggero Orlando. Erano tutti più vecchi di me e sono stati tutti miei maestri. Ancora oggi io guardo al passato. È un arricchimento spirituale, di sapienza, saggezza. In arte non esiste vecchiaia. Alcuni sono spenti e vabbè…

Il principale problema dell’artista è quello di essere accettato. Da figlio di un medico e di una casalinga, com’è nata a Foggia la sua passione per la musica?

Foggia è la città di Umberto Giordano. C’era una banda e tutto il pubblico, tutta la gente di Foggia era melomane. I negozi avevano l’altoparlante e si sentiva musica da tutte le parti. La città di Foggia nel’43 è stata severamente bombardata. Tutti i muratori che ricostruivano la città, cantavano. Io sentivo musica da tutte le parti. Mio padre era melomane, mia madre cantava le canzoni napoletane, mia sorella era soprano. Quando io ho sentito il Jazz ho capito che era molto più importante della canzonetta. Comprai una tromba, poi l’ho ceduta in cambio di un clarinetto. Frequentavo un circolo che si chiamava Tre Bis. Ti puoi immaginare il Tre Bis a Foggia! C’erano gli artisti della mia città. Io ho sempre pensato: “Voglio fare l’artista, non voglio essere un figlio di papà con l’Alfa Romeo”. Prima abbiamo fondato il Jazz College e poi la Taverna del Gufo, un Cabaret dove venivano scritturati Roberto Benigni, Massimo Troisi, Carlo Verdone, Enrico Montesano, Pippo Franco… io suonavo il clarinetto, facevo Dixieland.

È vero che è stato il primo a mettere i jeans a Foggia?

Sì. Io ero molto appassionato delle mode americane. Sono sempre stato filoamericano. Ero uno di quei ragazzini che chiedevano le gomme americane ai soldati alleati. Appena arrivati a Napoli, i jeans, li ho presi e portati a Foggia. Mio padre diceva: “Cosa sono questi, pantaloni da elettricista? Senza la piega!”

Suo padre non aveva tutti i torti. Lei canterà poi… Mannaggia a sti’ blue jeans!

Le lotte con i jeans stretti, molto più difficili da sfilare rispetto alle gonne per le ragazze.

Si ricorda il primo amore?

E certo. Non si scorda mai davvero. Mi ha fatto soffrire ed è giusto che sia così. Mi ha dato un carattere sentimentale, appassionato. Sono le emozioni che ti dà la vita. Guai a non avere avuto dolori. Sarei un pirla come molti credono che io sia… (ridiamo)

Nei testi delle canzoni napoletane ci sono molti amori non corrisposti. Un suo amore non corrisposto?

Ci sono stati amori non corrisposti con donne non famose. I testi delle canzoni napoletane poi, sono i testi più belli del mondo, più poetici del mondo. Soltanto in Messico ci sono testi altrettanto poetici. Le canzoni spagnole che conosciamo, non sono né spagnole, né cubane, sono messicane! Paloma, La storia di un amor, ecc… quando parlo con dei veri appassionati di canzoni napoletane, mi commuovo e mi delizio. Non si trovano giovani artisti che amano ancora la vera canzone napoletana. Chi canta oggi le canzoni napoletane antiche, d’autore anzi? Chi? Tra i giovani? Il discorso potrebbe riguardare l’intera canzone italiana. Io amo molto Francesco De Gregori, un vero poeta di ricordi, di emozioni. Oggi le canzoni le usano i giornalisti. Mi tocca leggere Scalfari che titola: Fatti più in là! Gaber, Endrigo, testi meravigliosi che andrebbero studiati a scuola.

È cambiata Napoli? Io sono romanticamente ancorato a De Filippo, ma c’è ancora la Napoli di Eduardo?

Napoli è cambiata, ma c’è ancora la Napoli che dici tu. Di Napoli si parla solo in senso negativo. C’è la borghesia napoletana che purtroppo è silente. La borghesia napoletana è ancora un’ottima borghesia: educata, elegante, frequenta i teatri, però prende le distanze dalla Napoli eduardiana, non ne parla. C’è stata una generazione -ne ho parlato con Raffaele La Capria – di grandi borghesi: Rosi, Patroni Griffi… un’altra generazione che si è opposta alla Napoli laurina, pittoresca, ecco che ha dominato una cultura egemone della controreazione. Egemonia, a Napoli specialmente, egemonia culturale dei comunisti!

Ancora dicono: “Non ci piace o’ presepe!”

Sì. Qualcuno ha pure detto che Eduardo era piccolo borghese, ma ti rendi conto? La Napoli per loro, per essere verace, deve essere quella della merda, della povertà, della periferia e della suburra. C’è, ma c’è anche Salvatore Di Giacomo! Ecco di Di Giacomo, questi qui, non ne vogliono sentir parlare.

Parliamo di donne se non le dispiace. Lei ha affinato negli anni, una tecnica di seduzione?

A parte gli amori grandi, di cui non voglio parlare perché mi commuovo, ho avuto dei grandi intervalli. Naturalmente venivo corteggiato da aspiranti modelle. Quando non c’era colloquio tra me e una bellissima ragazza fotomodella friulana, il mio amico Luciano De Crescenzo risolveva parlando lui e sfiniva quella poveretta friulana che non si interessava alle sue avventure di guerra. Io mi rendevo conto della noia di dovermi sciroppare i suoi racconti o i miei di repertorio.

De Crescenzo ha dichiarato: “Il sesso? Fatica tanta, piacere breve, la posizione è ridicola”.

(risata contagiosa) È vero. La posizione è ridicola. Con De Crescenzo abbiamo parlato molto di sesso…

La nostra testata si chiama OFF. Un racconto Off a riguardo?

Lo sai come ci siamo conosciuti con Luciano De Crescenzo? Avevamo una fidanzatina in comune. Una furbacchiona che manteneva i contatti tra me che stavo a Sorrento, e lui che stava a Napoli. Il bello è che non lo sapevamo! Lo scoprimmo dopo e diventammo amici! Cosa vuoi, con l’età si diventa più esigenti. Se c’è un incoraggiamento da parte loro, va bene… il feeling intellettuale però è importantissimo. La fotomodella friulana non va al cinema, a teatro, non legge, sport niente, musica o politica neanche a parlarne. Arrampicarsi per cercare una conversazione minima è triste. Con la fotomodella poi non c’è neanche la gastronomia. Non mangiano la parmigiana di melanzane… Io le friulane le adoro, intendiamoci, la mia bambinaia era friulana. La mia prima canzone era in friulano, ma la fotomodella no, perfavore!

La canzone Io faccio o’show a chi era dedicata?

A una ragazza con cui ho avuto un breve ma succoso amore. E veramente l’ho scritta in dieci minuti… con questa ragazza, della quale ero innamorato, andai a una festa di amici, e come succedeva sempre, usciva fuori una chitarra e si cantava e beveva. Questa ragazza a fine serata fa una sfuriata al mio migliore amico, mi rimprovera di aver fatto o’ show!
La mattina dopo chiamo Claudio Mattone e gli racconto tutto. Lui mi fa :” Vediamoci subito!” A casa mia in dieci minuti è uscita Io faccio o’ show! È autentica.

Come ha vissuto Renzo Arbore gli anni della contestazione del Sessantotto?

Dolorosamente. Avevo amici sessantottini. Io non condividevo. Ero stato a Berlino Est. Avevo visto la differenza. Le chiacchiere sul comunismo non mi convincevano per niente. Il comunismo è stato un bluff! Raccontavano palle! Gli artisti che arrivavano in Russia, in Unione Sovietica, raccontavano di repressione, censura. Io sono sempre partito dalla libertà. Sopra il mio letto c’è un ritratto di Abramo Lincoln. Confesso di essere a-comunista. Poi nel’68 ho sofferto molto per le morti di poliziotti e magistrati. Quando ho fatto Speciale per voi c’erano tutti i ragazzi divisi in categorie ideologiche di sinistra: i Sanbabilini…ecc, in tribù.

È una domanda che ho fatto anche a Boncompagni: come vedevano i dirigenti Rai le vostre improvvisazioni?

Bisognava dare il copione. Ad Alto gradimento lo abbiamo eliminato! Siamo riusciti a dire: “Noi il copione non lo possiamo fare!”. I funzionari non volevano, ma noi facevamo le cassette che poi mandavamo alla Siae.

È nata prima Domenica in o L’Altra domenica?

Ecco bravo. È nata prima L’Altra domenica. Domenica In è nata per contrastare il successo nostro. Hanno visto che c’era una trasmissione che intratteneva il pubblico, dalle due di pomeriggio alle otto, nella prima edizione io e Barendson con Sport e Spettacolo. Abbiamo litigato col Tg2 che si mangiava le nostre cose e abbiamo fatto la trasmissione dalle due alle cinque e mezza.

Come riconosce i suoi fan?

Dai capelli! Io per esempio, ti ho individuato subito, persino musicalmente. Vabbè tu sei un caso raro, perché a quarant’anni ami il Jazz, ma la tua generazione è dance music.

Io sono vintage.

E ho capito, sei anomalo. Ma quello di Bandiera Gialla ha settanta anni! Sono i D’Agostino quelli che si sono formati con Bandiera Gialla e che erano giovani. Tra i sostenitori avevo Renato Zero, la Bertè. Poi ci sono quelli diAlto Gradimento, quelli di DOC come te, quelli di Indietro tutta, vengono tutti ai miei concerti.

E i detrattori li hai individuati?

Alcuni intellettuali che ritengono che io sia frivolo come i programmi che ho fatto.
C’è un gruppetto di snob che mi identificano soprattutto con Quelli della notte e Indietro tutta che sono le trasmissioni di maggiore evasione. Non mi considerano. Qualcuno pensa che il mio amore per la canzone napoletana sia suggerito da un fatto commerciale, ma si astengono dal parlare in pubblico male di me, perché io sono “beniamino” e quindi ci rimettono. La mia era una missione.

Un altro episodio OFF della tua vita che ti commuove?

Ho scelto la canzone di Louis Armstrong per il Festival di Sanremo: Mi va di cantare. E quando Ravera mi portò nel suo camerino e disse: “Questo è il ragazzo che ha scelto la tua canzone”, Armstrong mi ha messo la mano sul cuore. Io ancora oggi non ne posso parlare… (Renzo prende un fazzoletto)
Poi Totò. Sono stato una giornata intera sotto la sua casa, il giorno che Totò è morto. Ero con la mia Cinquecento, ho fatto il giro del palazzo, del quartiere, ma non ho avuto il coraggio di vederlo, di salire. Il mio cruccio di tutta una vita: non ho avuto il coraggio di salire per dare l’ultimo saluto a Totò.

E Ruggero Orlando?

Con Ruggero eravamo amici. Ha fatto una scena nel mio Pap’occhio. Io ero timido, dovevo parlare alla radio e lui era il mio idolo di giornalismo televisivo. Con Ruggero ho superato la timidezza. All’epoca della contestazione, noi avevamo la passione per l’America e ci parlavamo all’orecchio: “Ruggé, ma tu hai capito questi che stanno dicendo?”

Federico Fellini?

A lui era piaciuto moltissimo Pap’occhio. Per il secondo film abbiamo litigato. Poi abbiamo fatto pace. Mi ha scritto una lettera bellissima. La fantasia di Fellini!

Nei suoi programmi il telespettatore è invitato a casa sua, alla sua festa, partecipando attivamente alle vostre goliardate. Non c’è separazione fra lo schermo e la vita reale. Sembra di stare con voi.

La parola goliardia va riletta. C’è la buona e la cattiva. In Quelli della notte era Jazz, totalmente improvvisata. Aveva la liturgia del jazz. Tema, tonalità, Pazzaglia: trombone, una jam session.

Un ricordo di Massimo Catalano e le sue massime?

Ecco Massimo era un jazzista. Tutte le domeniche veniva a suonare a casa mia e si divertiva a giocare. Lui suonava con i Flippers, Vianello, Siamo i Vatussi…Spiritoso, carino, educato. Pensa che dal primo bacio fino alla fine dei suoi giorni, è stato sempre con la moglie. Sempre insieme. Un tuffo al cuore quando lo rivedo in televisione. La “catalanata” l’ho suggerita io. Le ovvietà che si dicono nelle interviste su qualsiasi cosa, elette a sistema. E così nacque la “catalanata”.

Indietro Tutta. Io ero pazzo di Miss Nord. Ma chi era la più bella?

Difficile. Erano davvero tutte belle. Noi volevamo ragazze della porta accanto. Naturalmente Maria Grazia Cucinotta giovanissima, bellissima e serissima, era una delle più belle perché era l’emblema: la ragazza che avresti voluto sposare.

L’invenzione del Cacao Meravigliao! Mi ricordo un cartello da Castroni (nota caffetteria romana, n.d.r): “Non vendiamo il Cacao Meravigliao!”

Tutti torturavano Castroni. Quella fu un’intuizione. Indietro tutta è stata la satira contro la televisione anni Ottanta/Novanta. Il pericolo era: “La televisione la fate voi, da dove chiama?”. Lo sponsor che è il dominus attraverso la pubblicità. Lo sponsor decideva addirittura le ragazze di Fantastico di Celentano! Metteva bocca sulla qualità dello spettacolo. Allora il Cacao Meravigliao…

Uno poi s’è messo a produrlo…

Abbiamo vinto la causa contro un libanese che aveva depositato il marchio. Noi l’avevamo inventato ma non lo depositammo.

Non le chiederò di Mariangela Melato…

La ferita è aperta e sanguinante. Prima o poi parlerò di lei. Mariangela è stata la più grande. Ha fatto sì il cinema, ma ha fatto tutto il Teatro! Le altre grandi attrici non lo hanno fatto. Basta mettere in fila i titoli.

È ancora Radicale?

Sono stato Radicale. Parto da Il Mondo di Mario Pannunzio, Ennio Flaiano, Nicolò Carandini. Mi leggevo tutti i giornali di partito cercando un’identità: La Tribuna, La Voce Repubblicana, Mondo Nuovo, La Discussione. I socialdemocratici mi erano simpatici. Ma io resto kennediano!

Dove ti piace passare le vacanze, se le fai?

Da bambino andavo a Riccione, dalla nonna bolognese. Poi a Pescara, Francavilla, sul Gargano… adesso mi piace la bellezza di Ischia. Saranno i bagni caldi, i nove comuni, la cucina napoletana… Ischia!

Convivi con i selfie dei tuoi ammiratori?

Mammamia! Una volta un fan di Caserta Sud voleva una foto con me alla toilette. “Come scusi, al bagno?” “Devo dire a mia moglie che ho fatto pipì con Renzo Arbore!”. Il pompiere di servizio a teatro che ti abbraccia mentre stai per entrare in scena e vuole farsi il selfie! Io però non posso rifiutarmi.

Ultima domanda: lo stesso giochino che ho fatto con Gianni Boncompagni. Arbore presidente assoluto della Tv. Che farebbe?

Io non sono come Boncompagni. Gianni dice il peggio della tv ma c’è un piccolo particolare: non la vede. Io la vedo. Ha bisogno di creatività. Non c’è creatività. Noi che siamo il Paese del gusto, della fantasia, abbiamo delegato a format olandesi.

Con chi ti piace scherzare, improvvisare oggi?

Con Gegé Telesforo. È un jazzista. Abbiamo un repertorio formidabile. Con Gegé non riesco a fare una telefonata normale. Proviamo a chiamarlo?

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ANCHE IO ERO OFF, al telefono con  RENZO ARBORE

di Bruno Giurato

Si ricorda un episodio OFF divertente o imbarazzante dell’inizio della sua carriera?

Ne ho avuti tanti, perché ho una vita fortunatamente lunga. Ricordo quando suonavo per gli americani, per esempio, a Napoli, per la United States Organization, che è un’organizzazione fantastica di assistenza ai militari americani. Il mio pianista non sapeva l’inglese e siccome i nostri ospiti ci chiedevano i pezzi americani, gli avevo detto: “Devi dire sing the melody, canta la melodia. Così tu capisci che pezzo è, e lo facciamo. E ci danno anche una mancia in dollari”. Che poi era un dollaro, non di più. E una volta trovai questo pianista che si accaniva contro un nero altissimo e continuava a dirgli “Sing the melody, sing the melody…”, allora andammo a vedere e il nero aveva chiesto al pianista dov’era la toilette: “Where is the restroom?” e lui gli diceva: “Sing the melody”! Lì nacque la mia passione per gli Stati Uniti d’America.

Lei che strumenti suonava?

Suonavo un contrabbasso a tre corde, cantavo le canzoni americane e strimpellavo il clarinetto. Ero alle prime armi col clarinetto, però eravamo un gruppo di appassionati di jazz, io facevo parte del Circolo Napoletano del Jazz, e quindi eravamo invitati anche a Bagnoli, alla Nato, a sentire la Fitzgerald, Louis Armstrong, o David Brubeck. La passione del jazz c’era da quando avevo 14 anni, ma lì ho consolidato la mia conoscenza. E adesso sono presidente dell’Umbria Jazz Festival. Devo dirlo: noi sminuiamo sempre le cose belle, invece Umbria Jazz Festival è probabilmente il più bel jazz festival del mondo. Sono andato a quasi tutti, e i migliori jazzisti del mondo vengono a Perugia e d’inverno a Orvieto. La bellezza dell’Umbria, di Perugia, di Orvieto, ma anche delle altre location, fanno di questo festival il più ambito: tutti vogliono venire ad appuntarsi la medaglietta per aver suonato all’Umbria Jazz.

Ed è anche un festival che conserva ancora elementi di sperimentazione e non si è piegato completamente alle logiche del pop…

Facciamo pochissimo pop, per catturare il pubblico, ma pop di qualità. Per esempio, quest’estate verrà Doctor John, il pianista blues. Abbiamo ospitato Tony Bennett, Gaetano Veloso, che non sono veramente jazz. Però, anche le enciclopedie del jazz comprendono Frank Sinatra e Tony Bennett e Ben Goldberg, pure se fanno o hanno fatto canzoni. Erano canzoni talmente di qualità e di classe che erano molto vicini allo swing e allo spirito del jazz.

Torniamo un attimo al discorso di Napoli. Lei, studente universitario e appassionato di jazz…

Lo scorso giugno andò in onda un programma mio e di Raffaele La Capria, il grandissimo scrittore, adesso novantenne. Parliamo proprio della sua Napoli – la Napoli della generazione precedente alla mia, quando a Palazzo Donn’Anna c’erano Antonio Ghirelli, Franco Rosi e tutti gli altri suoi amici –  e della Napoli successiva, quando c’erano ancora gli americani, e io andai a studiare Giurisprudenza. Un programma bellissimo, perché è fatto da Fabrizio Corallo, che è un regista straordinario e ha trovato un sacco di documenti dell’epoca, meravigliosi.

Lei ha inventato una sorta di sintesi straordinaria: da una parte c’è, se vogliamo, l’atteggiamento goliardico dello studente universitario, dall’altra l’improvvisazione, oltre che improvvisazione musicale anche improvvisazione della parola. La miscela è esplosa alla radio con “Bandiera Gialla”e “Alto Gradimento”. Si riconosce in questo?

Devo essere grato proprio alla musica e alla mia passione per il jazz. Se non avessi apprezzato subito questa caratteristica del jazz che è l’improvvisazione, che mi ha affascinato moltissimo, probabilmente io e Boncompagni non saremmo stati i primi ad adottare il linguaggio parlato e improvvisato alla radio… addirittura consegnavamo alla SIAE le registrazioni invece che i copioni, perché non scrivevamo e quindi facevamo prima la trasmissione e poi come documento consegnavamo le musicassette. Purtroppo molte sono andate perdute. La devo proprio al jazz, l’improvvisazione, quella caratteristica che poi ho continuato a perseguire alla televisione… e anche in genere adesso, come stiamo facendo noi! Lo dico solo per il pubblico di OFF: le conversazioni di “Quelli della notte” venivano decise esattamente dieci minuti prima della messa in onda. Questo lo testimoniano tutti i protagonisti, da Marisa Laurito a Nino Frassica. Perché non ci si preparasse prima e ci si divertisse veramente e autenticamente a inventare delle stupidaggini.

Però in quel momento potevano nascere anche delle cose un po’ particolari che uscivano fuori dai binari… è vero che all’epoca de “L’altra domenica” ci furono addirittura dei brigatisti che pensarono di telefonarvi?

Sì, l’ho saputo in ritardo. Per la verità, quando per la prima volta io misi il telefono a disposizione del pubblico – non era mai successo, nemmeno in America, il “da dove chiama?”, cioè che si potesse chiamare la televisione direttamente da casa. Lo facevano solo le primissime radio private – quando io con Ugo Porcelli ci inventammo questa cosa, naturalmente pensai che accanto alle telefonate dei concorrenti potessero arrivare delle cose di questo tipo. Domandai ad Andrea Barbato: “Se succede una cosa del genere, mi dici che debbo fare?” e lui mi rispose: ”Lasciali parlare”. Questa era la decisione presa dal TG2, il programma dipendeva dal TG e dalla rete. Poi ho saputo sia da un giornale sia personalmente, parlando con una persona dentro, che avevano approfittato di questo numero 3139 per fare dei programmi, naturalmente non trovando la linea libera perché fin dalla prima volta che telefonavano migliaia di persone.

Lei è un grandissimo improvvisatore… ma il suo amico Luciano De Crescenzo dice “Arbore è un misto tra un genio e un dittatore”. È vero?

Dittatore proprio no! È strano che Luciano l’abbia detto, perché lui sa benissimo che il mio atteggiamento è proprio contrario alla dittatura. Io dico “facciamo così” con sicurezza, perché per esempio ai personaggi che ho inventato ho dato personalità, quindi per dare una personalità a Passaglia, che ne aveva una sua, per dare una personalità a Catalano, o per dare personalità a Marisa Laurito, che non fosse quella dell’attrice ma quella della cugina, dovevo imporre una certa linea. Era un insegnamento. In genere, tutto ciò che ho fatto scaturiva da un mio colloquio amichevole con i protagonisti. Perfino nei film con Roberto Benigni, io lo caricavo, lo massaggiavo, gli dicevo: “Allora, puoi dire questo, puoi dire quest’altro… se vuoi”. Proprio era la mancanza di dittatura che li stimolava, erano suggerimenti, non c’era la paura di doversi ricordare questo o quell’altro. Mai dire: “Tu devi dire esattamente così”. Se me lo dicono, per esempio nel cinema, io non lo so fare. E infatti come attore sono abbastanza cane.

Quindi, libertà di cazzeggio come libertà creativa. Lei ha fatto nascere tantissimi talenti: Catalano, Gegè, Antonio e Marcella, Bracardi, Benigni, che abbiamo nominato prima, Frassica, D’Agostino… Per esempio, D’Agostino si aspettava che poi diventasse arbiter diciamo elegantiarum, lui direbbe cafonalarum, della società?

Beh, diventare arbiter elegantiarum era il suo destino. Lui bazzicava moltissimo la società, soprattutto i giovani, faceva il dj, quindi sapeva tutto. Se volevi sapere qual era il locale in – la parola è brutta – del momento, telefonavi a D’Ago, e lui ti diceva: “Vai lì al Testaccio, c’è questa cosa”… però da quello a diventare un grandissimo spione, nel senso buono perché Dagospia è la sua rubrica dove suggerisce cose, estrapola articoli e informa lui stesso, io non mi aspettavo che lo sapesse fare in maniera così… sapiente, diciamo. Perché lo fa con grande cognizione di causa. Si può abbracciare o meno qualche sua teoria, però Roberto è certamente molto attento.

A Sanremo nel 2014 ha detto: “Ho conosciuto Antonello Falqui, che ha fatto la TV classica, ed Enzo Trapani che ha fatto l’altra TV”. E invece dopo? Il nulla? Lei ha detto che la TV di oggi è una TV paracula: conferma?

Eh beh, certo. È una TV asservita completamente all’Auditel. Ho letto il saggio di MarioVargas Llosa sulla società dello spettacolo: questo premio Nobel sostiene proprio che alla fine la TV è diventata un’industria, e quindi ha perso le caratteristiche vagamente artistiche che aveva prima. La televisione, quando l’abbiamo fatta noi, ma soprattutto quando la faceva Falqui, e anche tanti registi straordinari dell’epoca, si basava sul fare una cosa bella vagamente artistica, vagamente vicina al mondo del cinema. Non sarà stata arte cinematografica, ma certe opere sono rimaste televisivamente legate al mondo dell’arte. Adesso la definizione “TV d’arte” è riservata solo a qualche canale un po’ così: ce n’è un po’, diluita nelle reti, ma bisogna proprio andarla a catturare. Ma questo succede anche in America, non è una cosa solo italiana. E poi soprattutto per accontentare l’Auditel, che è diventato il dittatore supremo di quello che succede in televisione per ragioni commerciali giustificatissime, ma comunque economiche, si fanno anche, come si dice a Roma, le peggio cose. Il pubblico dovrebbe essere presente alle riunioni di redazione dei programmi, quando si decide: “chiamiamo questa ragazza perché fa vedere le gambe… chiamiamo questo perché si arrabbia… chiamiamo questo perché si arrabbia con quello che si arrabbia… chiamiamo questo perché è il re del gossip…”. Tutto è fatto in funzione dell’ascolto mattutino del giorno dopo.

Una cosa che però lei è riuscito a fare è stata portare la musica in TV con un programma poco conosciuto che è durato molto, ed era in una fascia un po’ particolare,  come Doc…

Sono molto contento che me lo ricordi, perché Doc è stato un programma fondamentale. C’è un archivio che ha la Rai, preziosissimo, perché sono 400 puntate in cui sono venuti tutti, da Miles Davies A Enzo Iannacci. Da Francesco De Gregori nel pieno della sua creatività a Joe Cocker, o James Brown o Dizzy Gillespie. Pochi sanno che io, siccome in qualche maniera mi diverto a pensare al futuro, non al passato, facevo registrare agli artisti, oltre che le cinque performance che poi andavano in onda dal lunedì al venerdì, anche quaranta minuti in più che rimanevano nell’archivio della Rai. Quindi ci sono 40 minuti di Miles Davies, mai visti, mai utilizzati, che stanno lì. Adesso poi forse c’è tutto il problema dei diritti, ma sarebbe bello magari che qualcuno andasse a scoprire. Quello è stato un periodo straordinario per la musica: c’era già stata la rivoluzione del rock, il jazz era diventato fusion, era un periodo di grande creatività. Adesso diciamo che ci stiamo godendo i postumi di questo periodo.

È da un bel po’ che non va in televisione e non fa più dei programmi. Si vedrebbe in un programma televisivo? Come se lo immagina? Ci sono speranze di vederla? E se non ci fossero, cosa le piacerebbe fare?

Io adesso ho un canale, renzoarborechannel.tv, che per adesso è un po’ silente e di repertorio soprattutto mio, anche recente. Cioè, se vado a fare come è successo una serata ad Alba e a parlare con Fabio Fazio nelle Langhe, io lo registro e poi lo si vede in questo canale. Così con la mia orchestra, se vado a fare qualche concerto particolare, oppure un po’ di cazzeggio incontrando Gigi Proietti. Accanto al repertorio recente e anche antico mio, poi ci sono delle cose che secondo me il pubblico dovrebbe vedere: credo che la mission di uno della mia età sia far capire ai ragazzi che accanto a questi epigoni di Drive-In ci sono i classici che non si possono ignorare. Da Totò, Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Walter Chiari… le basi. Fortunatamente, c’è la rete che secondo me è un dono della provvidenza, e rapidamente informa chi vuole essere informato delle cose che sono fondamentali del passato per poter fare il futuro. Anche musicale. Io sto dedicandomi, adesso lo farò con maggiore sollecitudine, a questo renzoarborechannel.tv, poi vedremo se ne scaturirà qualche programma curioso. Sto esplorando, diciamo. Poi, per la verità, i programmi come quelli di un tempo sono difficili da farsi perché non ci sono più improvvisatori. È rimasto Nino Frassica e qualche altro con cui ho già lavorato, ma di nuovi talenti che improvvisano spericolatamente come facevamo noi non ce ne sono. Io li cerco, vengono a trovarmi alcuni che vengono ai miei concerti, e io mi diverto a improvvisare con l’Orchestra Italiana. Chi venisse a vedere un concerto, capirà che non è solo musica, ma anche cazzeggio con i miei musicisti.

Però qualcuno mi sembra che ci sia, per esempio Zalone è un ottimo musicista e anche un bravo performer. Lei cosa ne pensa?

È ottimo, Checco Zalone, anche lui mi chiese di collaborare, però quando gli chiesi se improvvisava, lui disse: “Purtroppo no, io scrivo”. È una scuola rispettabilissima, ma è come dire che un cantante pop come Eros Ramazzotti è un musicista di jazz. Sono due cose differenti, il cantante pop non sa improvvisare una canzone che non conosce, il jazzista lo fa. Si ritorna sempre a questa storia del jazz… Per dirla in soldoni, i jazzisti se tu gli dici di suonare una canzone napoletana lo fanno subito, Bollani gli dici “fammi Ohi Marì”, lui l’ha sentita una volta e la fa. Male, in maniera jazzistica, benissimo, però la fa. Il musicista classico, il musicista che ha studiato, quello che viene dal conservatorio, no. Se non ha lo spartito non riesce a farla.

Una curiosità, che ne pensa di trasmissioni tipo X-Factor, oppure The Voice of Italy, le sembrano interessanti?

Mi sembrano interessanti perché in qualche maniera vengono fuori dei talenti, e quindi sono una promozione per artisti in erba. Alcuni diventano grandi, altri vivono solo una stagione. Però, certamente mi piacerebbe che accanto ai cantanti – cantanti, cantanti, cantanti – fossero premiati anche musicisti. Talenti di altro tipo… quindi, perché no? Chitarristi, clarinettisti, pianisti… ma anche di altre discipline artistiche.

Un po’ di tempo fa, ha detto che Renzi è uno sfrucugliatore, uno che scombina le carte e la liturgia politica. È questo ancora il giudizio o l’ha rivisto? Cosa ne pensa?

Sì, sta sparigliando, sta scombussolando tutta la situazione insieme con Grillo. Insieme con tutti, perché mi sembra che la situazione sia proprio questa, ognuno spariglia.

Ma nessuno costruisce…

Per adesso sparigliano, poi si vedrà.

7 Commenti

  1. Ma che ci azzecca Arbore con il comunismo? Ho già provato a postare il mio commento in proposito ma la redazione forse lo ha ritenuto “sovversivo”, preferendo pubblicare i giochi di parole attorno al termine bluff e i deliri di Massimo Bocci. P.S. Questo sarebbe uno spazio culturale???

  2. Che noia. All’epoca della prima rivoluzione russa (1905) e poi della seconda, stavano a litigare su chi era veramente comunista e chi no. Il problema è pittosto complesso a livello teorico sia sul piano dell’acquisizione del metodo di analisi dinamica di processi socioeconomici contradittori che sulla possibilità e direzione della rottura di un sistema che come per tutti i sistemi socioeconomici è storicamente determinato e ha una fine come ha avuto un inizio.
    In generale noi esseri umani cristiallizziamo i concetti del pensiero e siamo incapaci di coglierne le contraddizioni dinamiche che rispecchiano la realtà e quelle interne al solo pensiero. Non è una cosa facilissima, è come se Renzi si mettesse a dissertare di fisica teorica. Il punto è che il marxismo è un prodotto interno a questo sistema discendente dalla sua intrinseca dinamica e serve per interpretarlo. Dubito che sia il metodo che il bagaglio teorico oltre alla caonsegute prassi, possano diventare poatrimonio di massa per realizzare una ipotetica società. Ci terremo il capitalismo che forse non vi siete accorti è cambiato nella sostanza ed è diverso profondamente da quanto si può trovare nei Bignami. L’altro punto è di cercare evitare i guai prevedibili della crisi sistemica in atto (prevista) e spostare il problema più avanti (indietro non si può tornare come vorebbero alcuni iperliberisti teorici). In sostanza cerchiamo di campare il meglio possibile finché si può.

  3. Arbore. il comunismo non è stato un bluff. E’ UN BLUFF e tanti beoti ci sono cascati.

  4. Renzo Arbore è un vero artista. Non ha buttato il suo cervello nell’ameba rossa del pensiero unico. È uno che non ha mai avuto bisogno di “fare quello di sinistra” per millantare intelligenza come invece usano fare i ciarlatani trinariciuti. La sua arte è genuina e schietta e piace perché fa respirare la libertà di pensiero.

  5. Gentilissimo Arbore, ma i LADRI,MISTIFICATORI,RINNEGATI!!! COMUNISTI purtroppo sono una realtà terrificante Italiana dal 47, una piaga più che BIBLICA direi COOP!!!

  6. da qualche parte nel mondo è stato una tragedia, però è vero che da noi, paese dell’operetta, è stato un bluff

  7. Temo che più che un bluff, il comunismo sia stata una vera tragedia, di cui ancora stiamo pagando le conseguenze!!!!!

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