Milano, 1836. Due giovani, Vico e Michelina, si amano follemente. Camilla, la crudele madre della ragazza, si oppone alla relazione perché, nella sua mente, aveva previsto un diverso “partito” per la figlia. Gli appuntamenti di nascosto tra i due giovani. L’ “esilio” di Michelina dall’amata zia Teresa. L’epidemia di colera che, l’amata zia, porta via. I subdoli sotterfugi orditi da loschi personaggi sedicenti artisti. Un tentato delitto. Il ricongiungimento in nozze dei due amanti.
Sono, questi, gli ingredienti principali di un tipico romanzo ottocentesco. Ed è proprio la trama di Michelina – Scena milanse del 1836, un breve romanzo (che, rispetto ai topoi poco fa elencati, si carica di un notevole finale inatteso) scritto nel 1842 da Temistocle Solera e riedito, dopo oltre un secolo e mezzo, dalle edizioni NeoClassica (pagg. 117, euro 20).
L’iniziativa editoriale della piccola casa editrice romana ha il merito di gettare luce su un nome certamente non tra i più diffusi. Eppure, quando diede alle stampe Michelina nel 1842, Temistocle Solera era uno scrittore all’apice della notorietà. Un successo dovuto a un testo che egli aveva scritto poco prima, sempre nel 1842: il libretto del Nabucco di Giuseppe Verdi. La collaborazione con l’operista italiano era, però, nata qualche anno prima, nel 1839, quando Verdi musicò una poesia di Solera, L’esule, e, nello stesso anno, lo scrittore scrisse il libretto per l’Oberto, Conte di San Bonifacio. Le luci della ribalta, però, giunsero col Nabucco e fu proprio sulla scia di quella popolarità come librettista che Solera stese il suo (unico) romanzo, Michelina.
Nato il giorno di Natale del 1815, Solera apparteneva a una famiglia benestante. Studiò a Vienna, al Collegio Imperiale per poi rientrare a Milano, agli inizi degli anni Quaranta dell’Ottocento, e iniziare la carriera di scrittore pubblicando due raccolte di poesie. Per Verdi, oltre all’Oberto e al Nabucco, scrisse anche i libretti de I Lombardi alla prima crociata (1843) e Giovanna d’Arco (1845). Iniziò il libretto dell’Attila, ma lo interruppe quando decise di partire per la Spagna nel 1845 nel disperato tentativo di coprire i perenni debiti costringendo Verdi a rivolgersi a Francesco Maria Piave. In Spagna, fu giornalista, impresario e direttore d’orchestra e, nel 1853, scrisse il dramma lirico in tre atti La hermana de Pelayo. Solera, infatti, fu anche compositore. Il suo melodramma Ildegonda del 1840, tratto da una novella di Tommaso Grossi, venne rappresentato alla Scala milanese; l’anno seguente, nel 1841, scrisse la sua seconda opera, Il contadino d’Agliate e, nel 1843, Genio e sventura.
Genio e sventura, appunto. Perennemente squattrinato, la contessa Clara Maffei decise di aiutarlo: alla raccolta partecipò anche Verdi che, però, non avendogli perdonato l’abbandono dell’Attila, specificò «con la condizione che il mio nome non vi figuri perché non è mia intenzione d’avere alcun rapporto diretto con lui».
Per una strana coincidenza del Cielo, che lo fece venire alla luce a Natale, il giorno della “Nascita” per eccellenza, Solera morì altrettanto simbolicamente il 21 aprile, giorno di Pasqua, del 1878.
Il romanzo Michelina, oggi nuovamente disponibile ai lettori, anche se scritto con una prosa ottocentesca di certo non sempre facile e scorrevole, ridona il giusto posto a un testo e a un autore di tutto rispetto nel panorama letterario (e musicologico) italiano.