Arrigo Musti, dalla profonda superficialità alla lontananza dal mito

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IMG_0109Arrigo Musti torna nella sua Palermo con una mostra presso lo storico Palazzo Notarbartolo, prestigiosa sede espositiva e centro culturale di Banca Mediolanum. Dopo l’esperienza romana “Impop” presso i Musei di Villa Torlonia, curata da Lorenzo Canova, nel 2015 ha realizzato su grandi formati dei lavori della serie “Mith” per il castello Lanza Branciforte di Trabia dove è in programmazione una mostra per il 2017 con l’artista americana di origine israeliana Dalya Luttwak.   La mostra “Far from mith” è organizzata da Maurizio Curiale, uomo appassionato e sensibile all’arte, figlio di quell’ Umberto, amico di Guttuso.

Palermo è la città dove sono nato e con la quale sono legato a doppio filo, il mito non è altro che un viaggio costante con il proprio ‘io’ interiore, alla scoperta del sé profondo”- Arrigo Musti è uno degli artisti siciliani che seguo da anni e che i lettori di Off conoscono per essere stato raccontato da Angelo Crespi: “Io amo l’arte classica nonostante ritengo di essere molto contemporaneo ma la Sicilia, la mia Terra, è essa stessa arte classica e il Mito si esprime nelle sue migliori architetture.

Riconosco le opere di Arrigo da lontano. Prima di me lo dice Giuseppe Tornatore: “un vero artista deve essere riconoscibile in ciascuna delle sue opere, perché in buona sostanza, gli artisti autentici, non possono fare a meno di portare in se stessi, spesso inconsapevolmente, un segno, una premonizione, un tratto del tutto personale che ne sigilli l’intera opera in un unicum irripetibile” .

L’opera contemporanea dell’artista Musti rimanda ai canoni dell’arte classica in un’espressione perfettamente sincretizzata e armonica. I suoi corpi, perfettamente disegnati, compaiono quasi abbozzati, eppure vivono di un respiro profondo, i muscoli perfetti pulsano eppure sono corrosi dalla pioggia acida, gli occhi immobili e vuoti penetrano nell’osservatore che diventa esso stesso parte dell’opera. Un percorso ignoto e dell’ignoto, spesso pericoloso, ma che l’artista intraprende come crescita personale, dove “al centro dell’universo simbolico non vi è più la cura e la consapevolezza di sé ma una continua, caotica, crescente ed anancastica creazione di ‘nuovi miti’, diversi da sé, effimeri come l’immagine virtuale dei social, le personalità inventate dai media e gli oggetti mitizzati di uso quotidiano”.

Keep off the myth ( non calpestate il mito) è l’opera più rappresentativa perché rappresenta il viaggio di ritorno al mito, quindi al sé profondo, da rivalutare.                         
La mancanza di cura verso il proprio io più profondo ci porta a un risveglio senza memoria in un mondo fatto di caos e falsi idoli, senza direzione.

Artista che non si riconosce nella stasi, Arrigo Musti fa della ricerca la sua direzione: arte e tecnologia accadono senza imperativo, estetica ed introspezione si fondono nell’utilizzo di marchingegni tecnologici come le macchine taglio ad acqua oppure l’uso di tecniche che combinano gli smalti alle vernici spray sul ferro e danno vita a opere come ‘Don’t touch the bottom’ e ‘Iron drops’.

Penso di fare sempre le stesse cose, anche se in modo diverso: sono un figlio di questo tempo, come lo sei tu che mi stai intervistando, un’epoca apparentemente libera e caotica ma che dirige i miei pensieri più profondi” la nostra non si può chiamare propriamente un’intervista, piuttosto una conversazione profonda e multimediale, in Arrigo Musti l’amore per la bellezza e leIMG_0097 forme dell’arte classica, nel suo percorso di ricerca, sembrano allontanarsi apparentemente da essa poiché sedimentati e divenuti parte del suo codice genetico; l’artista concede alla materia di riempire il vuoto, ma ne manipola la forma, fino a tagliarla e bucarla per coglierne la precarietà.

Far from myth” rappresenta il secondo capitolo di “Impop”, da impopolare, la precedente mostra dell’artista che riflette in modo critico sulle dinamiche del lusso e del suo mercato contemporaneo. Musti, attraverso un significante apparentemente glamour e accattivante, cela la sua visione paradossale in cui le arti visive hanno perso quasi completamente il loro ruolo di ricerca e di interpretazione del mondo contemporaneo per trasformarsi in vuoti oggetti di lusso che assurgono al ruolo di antidepressivo per riempire il vuoto sociale e interiore di un mondo che corre veloce e tutto consuma e dimentica, anche se stesso.