Pirandello e quel progresso disumanizzante che non tollerava

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Luigi-Pirandello2149 anni fa nasceva Luigi Pirandello, il 28 giugno 1867. L’analista dell’animo umano non individuava nel progresso tecnico nulla di buono e ne ha denunciato i limiti nei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore“.

Nell’agosto del 1915, quand’ancora l’entusiasmo del radioso maggio infuocava i cuori dei rampolli d’Italia e le avanguardie futuriste cantavano, con voce quantomai fiera, la “bellezza della velocità”, Pirandello pubblica la prima edizione dei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”. La più ostinata, esplicita, netta testimonianza ad inchiostro della sua avversione nei confronti dell’emergente tecnologia cinematografica.

Il conservatorismo pirandelliano non meraviglia, ma la condanna della cinepresa, etichettata bestialmente come “grosso ragno nero in agguato”, è mossa da ragioni ben più profonde di quelle ascrivibili ad un mera ed aprioristica laus temporis acti. Serafino, il protagonista, è un operatore per la casa cinematografica “Kosmograph”, un cameraman, per non indignare i cosmopoliti; e da operatore, non necessita di altro se non della sua mano e della sua richiestissima impassibilità. Non gli serve un cervello, non uno spirito. Nessun guizzo creativo è utile alla sua professione, sulla fermezza della mano e l’impassibilità del volto e del cuore di fronte alle scene recitate viene misurata la sua abilità lavorativa. Edbook_LN5393_1 in queste prerogative Serafino eccelle, un vero professionista, a costo di soffocare il “tarlo della filosofia” che gli rode dentro, di spogliarsi dalle sue vesti umane per ridursi ad accessorio, a manovella della macchina. Anche quando gli capita la sventura di innamorarsi della signorina Luisetta, si convince a distogliere da sé la tentazione del sentimento amoroso, umano, troppo umano, e quindi, pericoloso. Quando, durante le riprese, l’attore Aldo Muti viene imprevedibilmente sbranato dalla tigre-attrice della casa cinematografica, a Serafino è richiesta la prova del nove: registrare la scena ghiottissima senza proferire parola alcuna, senza azzardarsi ad intervenire, senza turbarsi. La sfida è vinta. Serafino non spegne la sua fedele macchina e si certifica come il più competente dei cineoperatori. Cosa importa se per trattenere l’urlo resterà per sempre muto? Se sarà condannato ad una traumatica alienazione dal reale? Se sarà costretto a rinunciare a qualsiasi rapporto umano, alla sua stessa umanità?

Pirandello, maestro del teatro umanissimo, non può, non riesce a tollerare l’inganno del cinema, nel quale gli attori sono privati del gratificante sollievo di un plauso, il pubblico della possibilità di approvare o disapprovare in diretta, l’operatore della sua essenza umana. Proprio lui, che ha scandagliato l’animo umano fino all’ultimo umore, fino al sedimento più recondito e duro, come può non avvertire il disagio della degradazione di quell’animo, della disumanizzazione del cinema che è, più in generale, la disumanizzazione imposta dalle macchine, dell’esasperazione tecnica, della presunzioni scientifiche, degli slanci progressisti che non poggiano sulla base sempreverde della tradizione? I “Quaderni” meritano attenzione maggiore rispetto a quella riservata dalla critica sino ad oggi. Qui, infatti, si confronta con l’avveniente età industriale; qui emerge la sua posizione di radicata diffidenza nei confronti della meccanizzazione smodata; qui condensa tutte le tragicità dell’uomo moderno; qui possiamo raccogliere gli stimoli riflessivi che, con lungimiranza e lucidità, il nostro più grande prosatore ci ha offerto sulla questione uomo-tecninca, prima che questa diventasse veramente attuale.